Ricordi e speranze

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    Mai e poi mai avrei immaginato, quando mi sono iscritto alla nostra Associazione, di diventare il presidente della Sezione Bolognese Romagnola nell’anno dell’Adunata nazionale a Rimini-San Marino, del 150º dalla fondazione degli alpini, e di esserne presidente nel suo centenario. La Sezione di Angelo Manaresi e di Vittorio Trentini, presidenti sezionali e nazionali, del gen. Emilio Battisti, comandante della Cuneense in Russia, che visse a Bologna gli ultimi anni della sua vita, socio e poi presidente onorario della Sezione. Grazie all’aiuto e alla vicinanza dei soci, alla comprensione delle autorità comunali, all’arrivo di Stefano Boemo, il consigliere nazionale che si occupa del cerimoniale, siamo riusciti nel nostro intento.

    La Protezione civile sezionale, con la mostra di mezzi propri e dimostrazione del nucleo cinofili, ha aperto la celebrazione sabato 26 novembre, in quella bella piazza coperta che è stata dedicata a Lucio Dalla. La mattina della domenica, c’era il sole. C’erano già tanti alpini, tante le tute gialloblu della Protezione civile, la banda di Orzano che scaldava gli ottoni. Le facce attorno a me erano gioiose, allegre, si scambiavano commenti sul tempo e su chi sarebbe arrivato.

    Allineati sul “crescentone”, chiamato così il centro di piazza Maggiore, i gruppi di alpini si rimescolavano continuamente, persone che a Rimini a maggio, si erano dati appuntamento per questo giorno. Vedo con molto piacere tante altre persone senza cappello, non alpini, ma venuti a vederci per stare con noi: le mogli, le ragazze ed i ragazzi della Protezione civile e dei Campi scuola. Ma ecco che spunta il nostro simbolo, il Labaro dell’Associazione Nazionale Alpini, con tutte le sue Medaglie d’oro, segno tangibile dell’eroismo in tanti momenti della nostra vita. Seguo io con il vessillo della mia Sezione, con due Medaglie d’oro, una di Stefanino Curti di Imola, l’altra di Aldo Del Monte, di Montefiore Conca.

    Cammino andando al passo, lungo via Rizzoli, poi deviazione a destra e appare la basilica di Santo Stefano, conosciuta come delle “sette chiese”, dal numero di chiese costruite in quel luogo. Non l’avevo mai vista così bella. La banda si ferma nel piazzale, noi entriamo nel lapidario, posto quasi sconosciuto che contiene nella sua forma a chiostro, le lapidi di tutti i Caduti di Bologna e provincia della Prima guerra mondiale. Un francescano, in questo luogo che sembra sospeso nel tempo, ci aspetta e benedice tutti. Assomiglia come fisico minuto a don Enelio Franzoni, Medaglia d’oro al valor militare. E in quel luogo penso al mio nonno materno, grande invalido della Prima guerra mondiale. All’uscita ci accoglie nuovamente il sole, lo schieramento dei vessilli, gli alpini, si ritorna verso piazza Maggiore, con le due torri che ci guardano dall’alto, secoli di storia passati sotto i loro occhi.

    Mi accorgo delle facce stupite davanti all’immensità della chiesa di san Petronio, costruita per volontà civica dalla popolazione bolognese. Sono anch’io in chiesa ed ascolto i canti del coro degli alpini di Porretta, la Preghiera dell’Alpino chiude il rito sacro. Ora tocca all’atto finale della cerimonia, rendere gli onori a chi è morto nella Seconda guerra mondiale. Entrano in piazza del Nettuno, i vessilli, gli alpini, e il Labaro, subito dietro il vessillo della mia Sezione, a passare in rassegna la formazione. La deposizione di corone al lapidario dei Caduti partigiani con le foto di chi ha dato la vita per il nostro Paese, ci guardano ormai stinte. C’è la foto di Mario Jacchia, una delle Medaglie d’oro del nostro medagliere, tra i fondatori della Sezione e combattente pluridecorato nella Grande guerra, avvocato, giustiziato dai nazifascisti.

    Intravvedo la foto di Gianni Palmieri, anche lui Medaglia d’oro, alpino morto a soli 23 anni. Sono qui davanti alle foto e vedo quella di una mia lontana parente, Irma Bandiera, a Brisighella il 2 dicembre 1928. Medaglia d’oro, nome in codice Mimma: torturata a lungo per sette giorni seppe resistere e non tradì, “passeranno i morti, ma resteranno i sogni”. Alla fine, i saluti, gli arrivederci a presto. È terminato il giorno del compleanno per festeggiare i cento anni, ma siamo pronti per altri cento.

    Roberto Gnudi