Ricordi di naja

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    Sono un alpino di 88 anni e ho fatto il servizio militare nel 1953. All’eta di 21 sono stato inviato a Feltre per il Car, poi fui mandato alla 125ª cp. mortai a Moggio Udinese. Mentre facevo il corso goniometristi mi chiesero se sapevo giocare a pallone. Io risposi: “Sì”. Così alcuni giorni dopo mi inviarono a Tolmezzo, caserma Del Din, al comando dell’8º reggimento, plotone sport, per giocare a pallavolo. Si stava bene, si mangiava alla mensa ufficiali: lì passai quasi cinque mesi. In quel periodo Trieste era zona libera per cui il comando reggimento dell’8º Alpini che si trovava a Tolmezzo fu spostato a Moggio Udinese. Poi spostarono tutte le Truppe Alpine sul confine. Io, essendo da solo a Tolmezzo, venni trasferito con l’unico mezzo disponibile: un’ambulanza. Arrivato, non fui accolto bene da quelli della mia compagnia. Dicevano che ero un imboscato perché ero pulito con la mia bella barba curata, mentre loro erano tutti sporchi pieni di terra perché stavano rinvenendo le trincee della guerra 1915-1918 e tutte le piazzole dei cannoni, seguendo le mappe storiche. La sera stessa fui mandato in pattuglia di ricognizione: abbiamo camminato tutta la notte. La notte successiva, mentre dormivo, i vecchi alpini per invidia mi sforbiciarono la barba. Poi fui inviato, con un altro disegnatore, un radiotelegrafista e il tenente Biasiotto, in prima linea per la gestione di Trieste, Sella Nevea. Ero esploratore al fronte: primo ceppo (fatto in cemento a tre facce) tra Italia, Jugoslavia e Austria. Dovevamo inviare tutti i dati relativi il confine, controllare i movimenti dei titini, calcolare l’esattezza dei ceppi, circa 200, uno ogni 100 metri. La misurazione partiva da Tarvisio, Cave del Predil, Monte Canin fino al Monte Mataiur. Dovevamo stare molto attenti perché dietro i ceppi c’erano i titini che ci osservavano, non dovevamo mai guardarli, mai girarsi indietro perché era pericoloso: avrebbero potuto spararci se avessimo attraversato il confine. Al ritorno dal fronte tornai a Moggio Udinese come tavolettista responsabile di tiro, per portare a livello i mortai. Quando ero di riposo avevo con me l’occorrente per fare il calzolaio così riparavo le scarpe e scarponi alla compagnia e il basto dei muli. Tenevo anche la cassetta del pronto soccorso e più di una volta medicai dei feriti. A giugno del 1954 finii la naia. Caro direttore questa è la prima volta che scrivo su ciò che mi è accaduto durante il servizio militare. È un onore per me ricevere il vostro giornale, lo leggo sempre con molto interesse e mi sembra di tornare indietro nel tempo. Nella mia famiglia, mio genero è stato alpino e mio nipote è tuttora effettivo al 7º Alpini di Belluno. W gli alpini!

    Pietro Viviani Gruppo di Soligo, Sezione di Conegliano

    Caro Pietro, ho dovuto sforbiciare un po’ la tua lettera, per ovvie ragioni di spazio, ma ti assicuro che leggerti è come essere dentro la scena che descrivi. C’è la forza della tua memoria, ma anche il colore di un racconto che sa coinvolgere emotivamente. Complimenti e auguri.