Ricordi di guerra

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    Un quadernetto a righe di terza elementare, comperato negli anni Sessanta. Su questa tavolozza l’alpino Mario Turco, classe 1894, ha scelto di “dipingere” la sua storia, prima di posare per sempre lo zaino a terra. La grafia ha il tratto deciso e anche se alcuni passaggi non sono immediatamente comprensibili, errori grammaticali ed omissioni ne esaltano la genuinità. È stato il nipote alpino, Raffaello, a custodire il manoscritto con lo stesso amore con cui il nonno paterno glielo aveva affidato più di mezzo secolo prima «affinché non dimenticassimo – e come avremmo potuto essendo cresciuti a pane e Pasubio? – quello che lui e suo fratello Giulio e tutta la sua generazione diedero in quei tremendi anni della Grande Guerra. I suoi ricordi, le medaglie, il foglio di congedo e del Cavalierato di Vittorio Veneto, sono un patrimonio di amore e lealtà verso la Patria e gli uomini».

    Mario inizia il servizio militare nel 1914, un’avventura che terminerà cinque anni più tardi, dopo aver combattuto in quattro Campagne di guerra! “Fui mandato nel 1° reggimento alpini, battaglion Ceva, nell’anno 1914, a settembre; dopo qualche mese di istruzione ero in Carnia, a Moggio Udinese, dove mi facevano fare la strada per andare sul monte Sfinger, (si tratta della Cima della Sfinge, in Val Aupa) per portare i cannoni in quota e abbattere le posizioni nemiche. Poi è scoppiata la guerra, noi eravamo ai confini, divisi a un piccolo fiume c’era un ponte che divideva due paesi, Pontebba era nostra e Pontafel era degli austriaci. A mezzanotte giusta, il 24 maggio 1915, hanno fatto saltare il ponte: noi eravamo appostati nei cespugli, pieni di paura, tutti giovani dai 20 ai 25 anni e siamo rimasti mezzi storditi. Col principio di agosto abbiamo cambiato il fronte siamo partiti con tutto il battaglione passando per una valle che si chiama Sale Nivea (Sella Nevea), passando sotto il Monte Canino e lì il nostro prete ha fatto fare a tutti la Santa Comunione sulla neve, poi zaino spalla e avanti abbiamo raggiunto il monte Rombon. Lassù non c’erano strade e neanche i muli potevano venire; abbiamo fatto della gran fame e poi hanno cominciato a portarci le pagnotte coi sacchi in spalla ma tante volte ribattavano (ruzzolavano) e ci arrivava poca roba. Dopo hanno cominciato a fare le mulattiere e qualche cosa di più c’era.

    […] Mario ripercorre una sfortunata azione in quota, ma nelle date si confonde, il diario storico del battaglione Ceva riporta che l’episodio è avvenuto qualche giorno dopo le date indicate, il 27 agosto ed è confermato dal bollettino di Guerra sempre dello stesso giorno. La sera del 4 agosto il maggiore che comandava gli alpini ha chiamato il raduno delle Compagnie e ha chiesto di alzare le mani a 60 alpini di buona volontà. Neanche una è uscita e quindi ha dato ordine agli ufficiali di prendere quelli che pareva a loro. La sorte mi ha toccato e pieno di paura come tutti gli altri, pensavo che il nostro capitano me l’aveva fatta buona questa! Si trattava di andare su quel roccione alto 200 metri sopra di noi. Dovete partire alla 1ª dopo mezzanotte, vi faccio preparare delle fasce per i piedi, altrimenti vi possono sentire, e dovete arrivare sopra loro. Là su quel roccione avevano una trincea con le feritoie e per andarci c’erano 6 canaloni e serviva arrampicarsi come i camosci.

    […] Un soldato veneto di nome Sperotti, un anziano pieno di paura come noi, diede per caso un calcio a una gavetta che incominciò a rotolare giù facendo gran fracasso e svegliando il nemico. […] Ricordo un mio bravo tenente, si chiamava Peloselli (sottotenente Luigi Peluselli da Milano, Medaglia d’Argento al V.M.), era riuscito ad andare 20 metri più in su di me e si era messo al riparo di un gran sasso e mi chiamava: Turco vieni qui che siamo al sicuro, ma non potevo muovermi senza essere visto, allora con la baionetta mi sono fatto un solco per mettermi un po’ al riparo. Ho visto un tedesco in piedi a buttarmi delle rocce addosso, ho preso il fucile, ho puntato e le ho sparato: lui è andato giù e non l’ho più visto. […] La notte del 5 è venuta un po’ di nebbia e ci siamo ritirati, venendo da dove eravamo partiti. Eravamo rimasti in sei. Ma i nostri di notte sentendo venire qualcuno verso di loro hanno cominciato a sparare convinti fossimo il nemico e gli austriaci sparavano anche loro, così eravamo in mezzo a due fuochi. I nostri ufficiali quando siamo arrivati tutti scalzi con i piedi insanguinati mi hanno fatto gli elogi promettendo una proposta di medaglia al valore… e invece se la son fatta per loro. Intanto il 19 dicembre 1915 Mario viene promosso caporale e qualche mese dopo cambia fronte e Compagnia. Appartenevo ora alla 348ª compagnia mitraglieri ed ero aggregato al battaglione Aosta, 6° gruppo e così siamo andati a finire in Trentino e poi sul Monte Pasubio passando dalla Val Arsa e poi sul Monte Corno dove avevano preso Cesare Battisti. Qui Mario viene ferito una prima volta l’8 giugno 1916 alla testa e, tornato in linea, viene nuovamente ferito ad un piede.

    Nel 1916 sul Pasubio è arrivato mio fratello Giulio che veniva da Brescia a fare il corso da mitragliere e poi ha raggiunto la mia Compagnia. Da ottobre io e mio fratello abbiamo fatto tutta la guerra insieme sul Pasubio, nelle trincee sotto il suo Dente che non abbiamo mai potuto prendere. Alla fine del 1917 è venuta una grossa frana. Là c’erano tutti i rifornimenti del Pasubio e sotto quella grande rocca che faceva da gronda c’era il comando del colonnello Testa Fuoco, che era poco di buono. Noi soldati che eravamo in contatto coi nostri bravi ufficiali abbiamo detto che quella rocca era pericolante! Mario fa riferimento ad Ernesto Testa Fochi che intraprese la carriera militare come ufficiale degli alpini, Corpo nel quale si distinse per capacità di comando e doti di umanità. La sera del 5 settembre 1917, fu travolto da una frana caduta dalla montagna, indebolita dalle mine fatte scoppiare dai due eserciti contrapposti. Il 1918 fino a settembre siamo rimasti sul Pasubio sempre nelle trincee a combattere, sotto quella grossa montagna che quando è scoppiata sembrava un terremoto, ma il famoso Dente non è andato giù e gli austriaci non ci sono rimasti.

    […] Il principio di ottobre siamo discesi nella Valle dei Signori, a Schio, poi a Bassano. Nessuno sapeva niente di quella grande offensiva del Monte Grappa. […] Sempre in compagnia di mio fratello nella 348ª mitraglieri abbiamo incominciato a combattere il 27 ottobre 1918. Abbiamo perso tutti i nostri ufficiali e il nostro bravo capitano, Chiaverano, rimasto ucciso da una pallottola. Si tratta di Carlo Chiaverano di Giuseppe, di Recetto (Novara), capitano di complemento 4° Alpini, morto il 25 ottobre 1918 sul Monte Solarolo, decorato di Medaglia d’Argento al V.M. Della nostra compagnia siamo rimasti circa una ventina. Io ero ferito alla testa e alla mano destra e mio fratello mi ha portato nella galleria di medicazione, poi mi hanno caricato sul camion della Croce Rossa e mi hanno mandato a Terni, vicino a Roma. Mio fratello è rimasto fino al giorno seguente, poi è andato a Feltre e a Fiume, ma la guerra era terminata.

    […] Quando hanno fatto la pace abbiamo sentito suonare tutte le campane, grida di contentezza e si tanti ufficiali, anche generali, a farci gli auguri. Noi abbiamo detto che adesso ci avrebbe fatto piacere qualche fiasco di vino per festeggiare la vittoria, allora il generale ci ha fatto portare ogni due letti un fiasco di vino secco bianco e siamo rimasti contenti. Dopo qualche giorno in un grande salone hanno fatto venire una bella compagnia a farci il teatro e tutte le autorità di Terni per contentarci hanno fatto un sorteggio dei premi e mi è toccato £ 10 e a tutti qualche cosa: maglie, camicie e altro. Dopo 20 giorni di licenza sono andato al 4° Alpini (18 novembre 1918) dove ero stato aggregato e sono andato a Caluso, sede del mio reparto. Da lì mi hanno comandato alla fortezza di Bard a fare la guardia a nostri compagni che in guerra non avevano fatto il loro dovere. Tutti condannati alle pene gravi, mi facevano compassione.

    Poi nel mese di marzo 1919 ho avuto l’esonero per andare a lavorare con mio padre che era solo essendo altri due figli sotto le armi e la mia classe 1894 è stata congedata a settembre dello stesso anno. Da Ivrea, Mario si reca a Mondovì, sede del 1° Alpini, quindi a Ceva, sede del Battaglione. Il 12 settembre 1919 si congeda. Si sposò da lì a poco ed ebbe sei figli.

    Roberto Vela