Quel volto nella foto

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    Consultando l’archivio in redazione capita di osservare fotografie della ritirata di Russia e intercettare, tra le sgranature del bianco e nero, alcuni volti smarriti e sofferenti. Quante volte ci siamo chiesti quali fossero i loro nomi e se fossero mai riusciti a tornare a baita. Con immensa sorpresa il mese scorso è stata recapitata in via Marsala la foto che pubblichiamo in questa pagina, che decine e decine di volte abbiamo visto sfogliando il nostro archivio.

    Oggi, grazie al giornalista e suo compaesano Tarcisio Bottani che ha raccolto la sua storia, a quel volto in primo piano possiamo dare un nome. È l’alpino Bernardo Bottani, detto Dino, nato nel 1920 nella frazione di Pianca del Comune di San Giovanni Bianco, iscritto all’omonimo gruppo alpini della Sezione di Bergamo. E lo scorso 22 febbraio ha compiuto cento anni, ancora in buona salute e in piena lucidità.

    La sua lunga vita è stata segnata dai terribili anni della Seconda guerra mondiale e in particolare dalla tragica esperienza della Campagna di Russia con il 5º Alpini, dalla quale riuscì a tornare per puro miracolo e in condizioni fisiche non buone, a causa del congelamento dei piedi.

    Questo il racconto di come si salvò: «Dopo tre giorni di marcia, di sera, dovemmo fermarci, a causa dei combattimenti e mi misi in mezzo a quattro muli per ripararmi dal freddo, ma all’improvviso ci furono addosso i carri armati russi, diretti proprio nella zona dove mi trovavo io, così dovetti fuggire, spingendo i muli, i quali nel trambusto per metterci in salvo mi ruppero i lacci degli scarponi con gli zoccoli, facendomi entrare la neve. Poi mi accorsi che i muli se n’erano andati. Qui cominciò il mio calvario. Affrontai un’altra notte tremenda di marcia a piedi, senza aver mangiato da parecchio tempo; il giorno dopo le forze si erano ridotte al minimo e non ce la facevo più ad avanzare. Mi aggrappai all’istinto di conservazione, però ero ormai allo stremo.

    Alla sera tardi decisi di arrendermi e abbandonai la marcia. Vidi un bel pagliaio nella steppa gelida, vi feci un buco, mi ci infilai per ripararmi dal freddo e dopo un po’ mi addormentai. Nei giorni seguenti dopo mille peripezie, freddo e stenti ad un certo punto vidi una segnaletica e dei miei compagni venirmi incontro: ero arrivato a Kharkof, località distante 100 chilometri da dove ero partito!».

    Il padre Mansueto e la mamma Martina gestivano alla Pianca di San Giovanni Bianco l’osteria, nella casa che si trova di fronte alla chiesa parrocchiale, all’inizio del paese. Dopo la guerra i genitori cedettero tutti i beni della Pianca e scesero a San Giovanni Bianco, dove aprirono assieme a Bernardo e all’altro figlio Guido l’osteria di fronte alla parrocchiale, gestita ancora oggi dal nipote Martino e dalla sua famiglia. Poi Bernardo trovò un impiego all’Enel e riuscì a costruire un paio di condomini, uno in via Steffani e l’altro al Villaggio, dove abitò assieme alla moglie Maria e al figlio Daniele.

    Rimasto solo dopo la scomparsa della moglie e con il figlio lontano per motivi di lavoro, Bernardo non ha smesso le sue buone abitudini, continuando a dedicarsi alla preparazione dei casonsèi per le varie feste delle contrade. Non manca mai alle varie cerimonie in paese e anche fuori, per raccontare in prima persona la sua esperienza di alpino e la sua testimonianza contro il dramma della guerra.