Quale tricolore sul Monte Bianco

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    Una controversia mai risolta sin dai tempi di Napoleone.

    Per gli alpinisti italiani con obiettivo Monte Bianco che, dopo aver sudato e rabbrividito per morene, creste e ghiacciai, avvertono sotto i loro passi l'addolcirsi dell'ultimo pendio, quale soddisfazione nell'osservare i loro ramponi conficcati contemporaneamente nella neve di due Stati! Purché, a guastare la festa, non sopraggiunga qualcuno dal versante opposto che, conscio del suo buon diritto e premuroso come si conviene a un corretto padrone di casa, si dichiari lieto dell'incontro, ma si affretti a mettere in chiaro che tutta l'area sommitale è parte integrante del territorio francese.

    I signori non son convinti?Ecco la cartina ed ecco la lunga fila di crocette nere dirette alla vetta, le quali, come tante formichine, improvvisamente cambiano rotta, descrivendo un ampio semicerchio, quasi a voler aggirare un ostacolo prima di ritornare sulla linea di cresta. Sul foglio in possesso dei nostri perplessi connazionali, le formichine si arrampicano invece arditamente sulla quota più alta seguendo la via più breve, ma un leggero scuotimento di testa, accompagnato da un sorriso indulgente, pone fine alla discussione. Solitamente ‘carta canta’, ma in questo caso i suonatori hanno evidentemente seguito due spartiti diversi per precedenti arrangiamenti.

    Le prime note dissonanti le aveva già registrate due secoli fa un giovane oriundo italiano che giocava per la Francia: ritornato in armi nella terra dei suoi avi, il ventisettenne Napoleone proprio dal nostro paese aveva preso a sbocconcellare la torta europea, pappandosi per prima una fetta del regno di Sardegna, l'oltramontana Savoia. Così stabilì il Trattato di Parigi del 1796, precisando che la linea di frontiera doveva passare ‘sul punto più alto del Monte Bianco, visto da Courmayeur’; su una mappa annessa agli atti il tratteggio, dopo aver seguito la linea di cresta, tocca infatti i 4.807 metri della vetta. Ma la formulazione, apparentemente chiara, reca in sè un suggerimento per future contestazioni, visto che Courmayeur ha un suo Monte Bianco ‘personale’, inferiore di 60 metri alla vetta; ma la commissione confinaria aveva preso le sue decisioni in alta Val Ferret, dove si aveva la completa visione della catena, con le punte più alte evidentissime.

    Combinato il guaio, sia pure involontario, Napoleone non ci pensa più: ne combinerà tanti altri prima che il suo astro tramonti e la ‘querelle Mont Blanc’ abbia il tempo storico di maturare. Quando il re di Sardegna ritorna in possesso della Savoia, il contenzioso pare destinato a rimanere per sempre sepolto sotto la neve. Ma cinquant'anni dopo fa il suo ingresso sulla scena europea un altro Bonaparte, voglioso di rinnovare i fasti del grande zio. In combutta con Cavour che, privo di un grande esercito, mette in campo le fascinose grazie della contessa di Castiglione, Napoleone III aiuta i piemontesi a cacciare gli austriaci dalla Lombardia e intasca il compenso pattuito, Nizza e Savoia, mari e monti.

    Il nizzardo Garibaldi fa fuoco e fiamme, ma inutilmente; la contessa di Castiglione, esaurite le sue funzioni, rientra nelle retrovie piemontesi e l'imperatrice Eugenia va a saltellare di gioia sui ghiacciai di Chamonix. Si torna a parlare del Monte Bianco: secondo la Convenzione del 1861, la linea confinaria ‘sale sul gruppo del Monte Bianco e ne tocca le point le plus élevé’ e per evitare ambigue interpretazioni, il punto più elevato è chiaramente segnato a quota 4.807. La displuviale era talmente ben definita che si ritennero superflui sopralluoghi e pose di cippi, anche perchè la zona non rivestiva alcuna importanza militare (e non l'avrà nemmeno nel 1940, durante la guerra dei dieci giorni, quando non fu sparato neanche un colpo, se non contro qualche povero camoscio).

    È convenuto, del resto fra tutti gli Stati che, in mancanza di chiari particolari topografici in terreno montano, la frontiera segua lo spartiacque. A questo documento non sono mai state apportate modifiche ed ha tuttora pieno valore politico. Ma la permalosa cartografia transalpina non ne volle sapere e, già quattro anni dopo, in assoluto dispregio a un trattato internazionale, un suo illustre esponente, il capitano Mieulet, trasferiva l'area sommitale, declinante verso l'Italia, in territorio francese. Gli tenne bordone, con un'asserzione per lo meno stravagante, lo scrittore di montagna Charles Durier che, nel volume ‘Le Mont Blanc’, sostenne, naturalmente applauditissimo che, ‘in montagna una sommità appartiene interamente al paese da cui è più accessibile’.

    Poi aggiunge sottovoce: ‘È logico che la linea di frontiera debba seguire lo spartiacque, ma per il Monte Bianco c'è stata un'eccezione, dovuta a un'offerta generosa del governo italiano…’. O meglio, al silenzio. In un primo tempo infatti il nostro ministero degli Esteri non intervenne: si voleva evitare di sollevare un vespaio che avrebbe incrinato le buone relazioni con i transalpini nel momento in cui stava per iniziare la terza guerra d'indipendenza contro l'Austria. Lascia perplessi invece il silenzio del governo francese che, quasi fosse una rinuncia alla sua ‘grandeur’, non si preoccupò di richiamare all'ordine gli enti cartografici nazionali, che da allora non terranno più in alcun conto 1a documentazione ufficiale.

    Il giochetto delle formichine nere continua tuttora nell'Europa senza frontiere: mentre il tratteggio italiano segue la linea consacrata dai trattati, quello francese passa al largo, come un monello che compie un'intrusione nell'orto del vicino e si allontana con uno sberleffo, dopo essersi impadronito di una manciata di neve e di ghiaccio. (U.P.)