Pietro, discepolo della montagna

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    “Cassû in tas monz
    tal cûr da alte Cjargnie
    al è un paîs cun dut il so splendôr
    La int cujete e laboriôse pal mont si à simpri fat onôr
    Nou sin cjargnei, sin di Paular”

    (Quassù su questi monti nel cuore dell’alta Carnia c’è un paese con tutto il suo splendore la gente quieta e laboriosa per il mondo si è sempre fatta onore noi siamo della Carnia, siamo di Paularo).

     

    Questi versi musicati sono le prime strofe dell’inno di Paularo: raccontano con candida semplicità un pezzo della storia di un paesino dell’alta Carnia, a pochi chilometri dall’Austria, poggiato tra verdi pascoli e pinete fittissime che a poco a poco si diradano trasformandosi in grigie pietraie, in pizzi rocciosi e arditi. Montagne severe che somigliano alla gente che le abita: così austere al primo sguardo da sembrare irraggiungibili, eppure un passo alla volta, guidati da quell’irrefrenabile bisogno di salire, gusteremo stupiti il luccicare di un laghetto glaciale, ci fermeremo ad osservare la danza di un fiore piegato dal vento, rimarremo così, incantati dalla dolcezza di un paesaggio che si rivela solamente a chi conosce volontà e fatica.

    Da 32 anni l’Associazione Nazionale Alpini premia queste virtù, premia la fedeltà alla montagna con una somma in denaro e con un trofeo che passa, di anno in anno, da un capogruppo all’altro: una scultura in bronzo che rappresenta un ceppo con radici forti e vigorose. Il vincitore quest’anno è l’alpino Pietro Screm, malgaro dapprima per tradizione e poi per scelta. Dalla nonna e dalla mamma ha appreso l’amore per questo mestiere, un attaccamento così forte che lo ha spinto a rinunciare a una già avviata carriera da fondista nella squadra sportiva dell’Esercito per ritornare tra i suoi monti, a casa. Una casa che oggi è una splendida malga, con una stalla, una porcilaia e una stanza per la preparazione del formaggio tanto buono da aver guadagnato negli anni ambiti riconoscimenti nazionali e internazionali. Sembra un sogno, perché lassù il Creato non conosce padroni e si governa da sé: le mucche al pascolo, nel tardo pomeriggio si accodano una dietro all’altra verso la sala mungitura.

    Pierinut, Teresa e i loro figli lavorano duramente, con sacrificio e con amore. La montagna chiede ai propri figli forse più di ciò che dà, ma li ripaga, sempre. Li ripaga regalando loro paesaggi mozzafiato, rendendoli forti nell’affrontare le prove più dure, educandoli nella lunga sopportazione della fatica e del disagio. Sabato durante la visita a malga Pramosio, negli occhi di Pierinut e Teresa abbiamo letto questa storia, radicata profondamente a un passato che ritorna e insegna ancora: poco distante dalla malga si trova il luogo dove il 15 febbraio 1916 venne ferita mortalmente la portatrice carnica Maria Plozner Mentil, Medaglia d’Oro al Valor Militare. Un esempio di fedeltà.

    Sotto una roccia è stata posta una targa in suo ricordo, la cui scopritura è avvenuta proprio sabato per mano del presidente Perona e del prefetto, alla presenza della nipote e di tanti vessilli. Poi è di nuovo il tempo per la festa, è il giorno di Pierinut: fotografie, strette di mano, chiacchiere, in una giornata settembrina di sole che illumina e riscalda ogni cosa. Scrive il profeta Michea, al cap. 5,1 del suo libro riferendosi allo sperduto villaggio di Betlem: “E tu Betlem – Efrata, tu sei la più piccola della Giudea, ma da te uscirà colui che deve regnare in Israele”. In senso metaforico oggi potremo scrivere “E tu Cogliat sei il più piccolo borgo di Paularo e forse fra i più piccoli della Carnia, ma da te è uscito quel Pierinut al quale oggi viene assegnato questo prestigioso premio”.

    È così che domenica durante l’omelia che ha preceduto la consegna del premio, ha parlato don Tita Del Negro, parroco di Paularo. Si è rivolto a Pietro, l’uomo delle mucche e dei prati, e ancora al presidente Corrado Perona, lodando questa iniziativa il cui intento è di scoprire e riconoscere quella grandezza che non fa chiasso, ma crea vita giorno dopo giorno. Pierinut, forse ancora incredulo, con gli occhi lucidi e rossi, accanto alla sua Teresa, lo ascolta, come si ascolta un padre e sembra ripercorrere nella mente tutta la sua vita. Al termine della Messa ha inizio la cerimonia di premiazione: il capogruppo Ennio Blanzan è felice e si vede!

    Non occorrono molte parole perché tutto ciò che c’è da dire lo abbiamo lì davanti agli occhi: gli interventi sono brevi e diretti. È la volta del presidente della Sezione Umberto Taboga, carnico nel sangue e nell’aspetto: “Grazie soprattutto a te, Pietro, perché è tuo il merito di questo riconoscimento, tuo l’insegnamento”. E ancora il generale Giovanni Manione, comandante della Julia: “Queste montagne le ho percorse con i miei ragazzi, i miei alpini. Le porto nel cuore, soprattutto ora che sono in partenza per Cesano, dove ricoprirò l’incarico di comandante della Scuola di Fanteria. A te, Pietro, dico che il premio vero te lo ha dato la vita! Sono certo che nelle notti più limpide, sotto cieli di stelle tu abbia pensato: non cambierei questo posto per nulla al mondo!

    Hai dato molto a questi luoghi e ne sei stato ripagato”. Il presidente della Commissione Ferruccio Minelli chiama sul palco Pietro e Teresa e legge loro la motivazione del premio. Un applauso suggella la consegna e lo scambio di doni. Siesta all’alpeggio… Il presidente della commissione del Premio, Ferruccio Minelli con i premiati delle scorse edizioni. Chiude Corrado Perona: “Doloroso dover lasciare, ma necessario. Questi anni da presidente sono stati un’esperienza faticosa sì, ma esaltante soprattutto per quanto mi avete dato voi alpini, per l’esempio, per l’affetto, per gli insegnamenti. Pierinut è l’ultimo insegnamento che mi viene, un insegnamento legato alla montagna e alle tradizioni più belle. Guardo seduti qui davanti a me i premiati delle edizioni precedenti: voi rappresentate tutti gli uomini che lavorano in montagna, che la preservano, la custodiscono, la amano”.

    Un applauso lungo si allarga nei sorrisi, negli abbracci, nella commozione che per troppe ore era stata ricacciata in gola. All’uscita del paese uno striscione che va da tetto a tetto con l’ultimo saluto: ‘MANDI!’. Poi da sola, sulla strada verso ovest, dopo un paio d’ore di viaggio, mi scopro sorridere ancora: troppa l’emozione perché svanisca in fretta. E tra me e me penso: grazie montagna per averci dato figli come Pierinut, come Toni, primo premiato, come Giuseppe, Giovanni Battista, Marco, Enrico, Dino, Felice, Silvio, Giulio e tanti altri. Grazie maestra muta per le belle storie dei tuoi discepoli silenziosi che continueranno ad amarti così come sei… perdutamente!

    Mariolina Cattaneo

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