Pietre e ossa

    0
    82

    Pietre, massi, macigni: il terreno è un enorme ghiaione ai piedi di un’aspra catena montuosa con guglie impervie, rocce incombenti e canaloni franosi. Il panorama è suggestivo, con le vette rocciose sul lato destro ed in fondo quel che rimane del ghiacciaio. Camminando è opportuno guardare bene dove si posano i piedi tra una pietra e l’altra. Ed ecco che allora un occhio attento può scoprire sul suolo, tra i massi, delle piccole pietre screpolate e scheggiate che, però, pietre non sono, ma sono frammenti di ossa umane, calcificate dal sole e dal tempo. Sì, a distanza di cento anni, qui il terreno conserva ancora tracce di quella che è stata la “Guerra bianca” con rotoli e spezzoni arrugginiti di filo spinato, pezzi di lamiera, brandelli di cuoio, schegge metalliche, shrapnels e, tra le pietre, come abbiamo notato, anche strazianti frammenti di ossa umane. Siamo in Conca Presena, sopra il passo del Tonale, nel gruppo dell’Adamello, sotto Punta Castellaccio e la Cresta di Casamadre, appena al disopra dei laghetti dei Monticelli, a ridosso di una delle ridotte austriache ancora esistenti, con postazioni e ricoveri, dove nel 1915 e 1916 si infransero valorosi e cruenti attacchi degli alpini dei battaglioni Morbegno, Edolo, Val Camonica e Val d’Intelvi, allora all’assalto sulla candida neve e in piena vista degli austriaci, con gravi perdite per gli assalitori. Finalmente due anni dopo, tra il 25 e 27 maggio 1918, gli alpini della 52ª compagnia del battaglione Edolo, comandata dal capitano Sora, e gli arditi del “Val d’Intelvi” durante un fulmineo attacco notturno riuscirono a superare i reticolati, conquistando la ridotta, mentre altri reparti alpini occuparono le altre ridotte e le imprendibili, fino ad allora, postazioni austriache sui Monticelli. La pietà umana ha raccolto questi frammenti di ossa su un masso, come se fosse un altare, e vi ha posto una croce di fortuna, fatta con due pezzi di legno incrociati, aggiungendo successivamente alcuni fiori artificiali, segno di compassione cristiana. Queste povere ossa che possono essere sia di alpini che di landesschützen, non hanno ormai più nazionalità in quanto tutti fratelli nella morte e possono rimanere sotto il sole dell’estate e il ghiaccio dell’inverno che da tanti anni le stanno custodendo. In ricordo dei Caduti in montagna così scrisse molti anni fa il tenente Gian Maria Bonaldi, detto “la Ecia”, ufficiale della 52ª compagnia dell’Edolo e combattente sull’Adamello: “I morti è meglio che non vedano quel che son capaci di fare i vivi e la strada storta che sta prendendo il mondo, è meglio che non si accorgano nemmeno che noi siamo diventati così poveri e tanto miseri che non siamo capaci di volerci bene… No, è meglio che i morti stiano nella neve e nel giaccio e che non sappiano di noi, altrimenti potrebbero pensare di essere morti invano ed allora si sentirebbero ancora più soli”. Questo pensiero figura anche su una parete del museo della Guerra Bianca di Temù.

    Arcangelo Capriotti

    Parafrasando la Ecia mi verrebbe da dire che sarebbe meglio se i vivi guardassero quello che hanno fatto i morti. Soprattutto perché lo hanno fatto. Per scoprire che le guerre con i lutti che lasciano sono realtà da prevenire con tutte le forze, usando intelligenza e responsabilità perché non abbiano a ripetersi. Ma per scoprire anche che i morti sono stati degli obbedienti (volontari o meno) con un grande senso del bene comune. Penso a quei frammenti di uomo, italiano o tedesco non importa, mentre mi arrivano sul tavolo alcune sentenze recenti di magistrati. Assolto dall’aver violato le regole del lockdown perché nessuno può imporre ad un altro orari e regole per restare a casa. Un’altra sentenza manda assolto un signore che ha dichiarato il falso ai carabinieri, perché nessuno è obbligato a dire la verità. Penso a queste esaltazioni della libertà (leggi anarchia) e mi domando cosa ne sarebbe oggi dell’Italia progettata dentro i confini di tanto individualismo. Ed è allora che penso ai morti, ma giusto per chiedere loro di vigilare su di noi.