Parola di giovane

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    Al Centro Papa Giovanni XXIII di Belluno si è sentita una musica nuova. Interpreti e protagonisti sono stati quattro giovani, Leonora, Tommaso, Nicola e Alessandro, guidati magistralmente da Bruno Fasani che come un maestro d’orchestra ha dettato i tempi, stimolando un dialogo aperto e genuino.

     

    Il tema del 20º Convegno Itinerante della Stampa Alpina, “L’Ana e i giovani, loro speranze e attese”, segue idealmente l’incontro dello scorso anno con una netta differenza: se a Como gli alpini avevano parlato dei giovani, a Belluno sono i giovani che parlano agli alpini.

    Come è possibile instaurare un dialogo e colmare le distanze tra mondo alpino e i giovani d’oggi? Rispondendo a questa domanda amletica, Tommaso, 17 anni di Treviso, va dritto al nocciolo della questione: «Tutto dipende dal mezzo con cui noi giovani otteniamo l’informazione. Se ho la fortuna di avere un nonno alpino, ad esempio, è tutto più facile, perché so già chi siete e i valori che professate». In caso contrario il giovane deve toccare con mano cosa gli si offre, quindi occorre «parlare faccia a faccia andando nelle scuole o nei luoghi di aggregazione giovanile» e passare il messaggio che quello che i veci alpini fanno nel volontariato e nel sociale non è una cosa vecchia. «Occorre poi combattere i pregiudizi dei giovani legati al mondo militare per far capire che il messaggio non è la guerra ma l’impegno per la comunità». Ovviamente il rischio che si corre è quello di non essere ascoltati.

    Tommaso ha pochi dubbi: «Se veniste a parlare alla mia squadra di rugby, ad esempio, ricevereste immediatamente il 50% e più di pomodori in faccia, ad essere ottimisti». Cosa potrebbe dunque fare la differenza perché i giovani ascoltino? «I ragazzi hanno interessi molto vari e diversificati rispetto a quelli di un tempo, penso che l’approccio funzioni sempre con le cose divertenti: ad esempio voi alpini avete i canti, il cibo…».

    Leonora, 19 anni, presidente della Consulta provinciale degli studenti di Verona, è ancora più decisa: «Se noi giovani costituiamo il futuro dei valori alpini occorre evitare di renderci recipienti in cui riversare nozioni, ma darci un ruolo attivo, ad esempio nelle scuole potremmo essere coinvolti su un progetto o un video che rielabori la storia locale». Per avere un approccio più favorevole occorre inoltre «mettere in luce i lati positivi dei ragazzi, in modo da valorizzarli per attrarli. Non dovreste pensare che siamo tutti dei bulli disinteressati e non ricettivi».

    Ma in che modo i ragazzi di oggi recepiscono le informazioni? Fasani parla di terza era della comunicazione. Dopo la scrittura e il libro stampato, i neonati digitali abbracciano una cultura sincronica e sintetica, in cui la memoria lascia spazio all’emotività spicciola e sensazionalistica. «Noi alpini dobbiamo far capire ai giovani la gioiosità di guardarsi in faccia e dovremmo essere interpellati per il nostro ruolo educativo, pedagogico. Dobbiamo assumerci la responsabilità di essere coeducatori dei ragazzi, grazie al fascino e alla cordialità che esprimiamo».

    D’accordo sembra essere Nicola, studente di Belluno, che non esita a definire «il digitale come uno strumento straordinario, ma spesso noi ragazzi non sappiamo come gestirlo». Gli applausi aumentano quando cita una frase d’effetto, peraltro molto vera: «‘La tecnologia non segue il progresso della mente, perché si evolve molto più velocemente del nostro intelletto’», per dire che essa è anche motivo di distrazione perché ci si inebetisce davanti allo smartphone o al computer e non si osserva quello che si ha attorno. Secondo Nicola i giovani dovrebbero avere la possibilità di vedere in concreto le opere degli alpini ed esserne coinvolti, così da destarsi dalla narcosi tecnologica in cui spesso cadono, «per farli pensare non solo al proprio io, ma al bene comune».

    Il terribile dato di fatto è che la nostra tecnologia ha superato la nostra umanità; per essere ascoltati oltre il muro che blocca il dialogo intergenerazionale occorre quindi ritrovare proprio uno degli elementi che più ci lega. La parola “umanità” si rinviene in tutte le risposte di Alessandro alle domande incalzanti di don Bruno.

    «Tra i valori degli alpini, quale vorresti portar via?», chiede Fasani. «L’orgoglio con cui ci si mette a disposizione e con cui si fa il primo passo», risponde Alessandro. «I tuoi amici quanto capirebbero dello spirito degli alpini?». «A parole poco, sono cose che vanno percepite». «Con che linguaggio si può comunicare? ». «L’aspetto storico va in secondo piano. Quindi direi appoggiarsi alla visione umana dei fatti, all’emotività del racconto che ti rimane dentro». Più chiaro di così…

    Solcando le onde del “botta e risposta” la discussione è approdata a un altro nodo focale, legato al futuro associativo. Quanto l’Associazione è pronta ad accogliere i giovani senza penna? Nelle parole degli alpini Leonora percepisce la paura del cambiamento e tanto impulso di conservazione, un sentimento che in realtà contrasta con una vera volontà di rinnovamento: «Solo se vorrete far entrare i giovani ci sarà cambiamento!».

    Anche Tommaso è contro un’impostazione autoreferenziale dell’Associazione: «Se vi isolate rimarrete un’isola felice in un mare di schifezze. Dovreste quindi aiutare la società a migliorarsi». «Perché siete qui a cercare di parlare a noi giovani?», chiede Nicola provocatoriamente. «Noi ragazzi non vi veniamo incontro perché non siamo abituati a farlo. Dovreste essere voi ad avvicinarvi, anche perché noi il cappello alpino non lo portiamo e quindi non abbiamo possibilità di capire facilmente».

    «Non c’è più la leva ma si possono fare dodici mesi di Vfp1», ricorda il comandante delle Truppe Alpine, gen. Federico Bonato. E continua: «Oggi in molti scelgono di entrare da professionisti negli alpini. Ci sarebbe piuttosto da chiedersi come mai tutte quelle che sono state le nostre regioni di reclutamento alpino abbiano subito un vuoto nel momento della sospensione della leva. Negli ultimi 10-15 anni se fosse stato per il bacino di reclutamento delle zone montane, gli alpini probabilmente non esisterebbero più». Un terreno fertile per nuove iscrizioni sono sicuramente gli alpini in servizio. «Si tratta di trovare il sistema, anche a livello locale, per invogliare i giovani alpini in armi ad iscriversi. Un bell’esempio è quello di Bolzano dove abbiamo ragazzi in servizio di regioni del Sud e del Nord che sono soci a Bolzano Centro e Acciaierie. Si ritrovano, vanno al Gruppo, lavorano e vivono l’Associazione».

    Il Presidente nazionale Sebastiano Favero ha ringraziato gli alpini di Belluno e il loro Presidente Angelo Dal Borgo per la perfetta organizzazione e ha lodato questo Cisa perché «ha segnato un cambiamento e un passo in avanti per quelli che sono gli obiettivi della nostra Associazione». Parlando del futuro ha auspicato che la revisione del Terzo Settore vada in porto perché «un popolo non può non tenere conto dei propri doveri.

    Se uno ha doveri sa dove sta e capisce la propria identità e i propri valori. Alessandro ci ha chiesto: ‘Chi ci aiuta a comprendere e a portare il cappello alpino?’. Rispondo che la nostra Associazione farà tutto ciò che è nelle sue possibilità per aiutarvi a portalo. Il mio predecessore Corrado Perona ha detto che i giovani hanno centrato il punto, hanno messo la chiave nella toppa. Noi quella chiave dobbiamo girarla e aprire la porta».

    Matteo Martin

    lalpino@ana.it