Paolo Monelli

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    paolo monelli

    Se diciamo Le scarpe al sole non può non venire in mente Paolo Monelli (Fiorano Modenese, 15 luglio 1891 – Roma, 19 novembre 1984), versatile uomo del suo tempo, giornalista, scrittore, alpino che partecipò ad entrambe le guerre mondiali. L’impronta militare gli era stata trasmessa dal padre Ernesto, ufficiale a Bologna dove Monelli, dopo aver tentato senza successo la carriera con le stellette, portò a termine gli studi in giurisprudenza e iniziò a collaborare, giovanissimo, al Resto del Carlino. Allo scoppio della Prima guerra mondiale si schierò con gli interventisti e fedele alla causa si arruolò volontario, chiedendo esplicitamente di essere inquadrato nei reparti alpini. Fu accontentato. Combatté nel battaglione Val Cismon del 7º Alpini, poi su vari fronti tra cui l’Ortigara e da capitano al comando della 301ª compagnia del battaglione alpini sciatori Monte Marmolada, nelle battaglie che ebbero il culmine con Caporetto, cadendo prigioniero degli austriaci e rimanendovi fino alla fine della guerra. Per il valore dimostrato in battaglia si meritò due Medaglie di Bronzo (nel 1916 in Valsugana e nel 1917 sull’Ortigara) e una d’Argento (nel 1917 sul Monte Tondarecar). Prendendo spunto dal suo taccuino di guerra nel 1920 scrisse il libro Le scarpe al sole. Cronache di gaie e di tristi avventure di alpini di muli e di vino, che ottenne grande successo, tanto da essere ripubblicato più volte e tradotto in diverse lingue. Le vicende sono raccontate con pennellate descrittive, alle volte telegrafiche, spesso pungenti, di tanto in tanto introspettive o grottesche. Numerosi anche i riferimenti gergali, soprattutto quelli militari, di cui lo stesso titolo ne è espressione: “Nel gergo degli alpini mettere le scarpe al sole significa morire in combattimento”. E ai critici del tempo che contestavano la presenza di troppe bestemmie e sfottò, rispose ironico: “Lo so, ma che volete? Si parlava così, eravamo fatti così. Fatti male? Può darsi; ma ci avevan fatti abili di leva, e siamo serviti anche così a finire vittoriosamente la guerra”.

    Lavorò per La Stampa, il Corriere della Sera, la Gazzetta del Popolo e viaggiò molto in qualità di corrispondente all’estero. Concorse ad istituire il Premio Bagutta e anni più tardi fece parte degli Amici della Domenica, la giuria del Premio Strega. Sul finire degli anni Venti strinse amicizia con il reduce Giuseppe Novello di cui apprezzava i disegni, apparsi in particolare su L’Alpino, e collaborò con lui alla stesura del libro illustrato La guerra è bella ma scomoda. Un’unione geniale tra penne che narrano, l’uno con le parole, l’altro con il tratto, delle vicende belliche con un impareggiabile ironia e verità. Anni dopo fu la guerra a tornare da Monelli. Fu richiamato nell’estate 1940 come corrispondente di guerra su vari fronti, compresa l’Africa, e due anni dopo fu promosso tenente colonnello. Nel 1943, all’età di 52 anni venne congedato. Al termine della seconda guerra mondiale tornò su uno dei temi a lui cari con Naja parla, il cui sottotitolo spiega perfettamente il contenuto: “Le parole della guerra e dei soldati esposte e illustrate con aneddoti, ricordi e considerazioni varie, a diletto dei reduci, a edificazione dei borghesi e ad erudizione dei filologi”. Un’altra stella nell’universo alpino che già aveva saputo raccontare con l’intensità di un romanziere e l’autenticità del cronista. Come ricordò Giulio Bedeschi, Monelli “seppe trasferire nel mondo civile italiano del primo dopoguerra l’immagine dell’alpino, e la inchiodò nel cuore di innumerevoli italiani, tale e quale come l’aveva vista dissanguarsi sulla croce nel filiforme putrido calvario delle trincee”.