Carlo Emilio Gadda

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    “Quattro anni e tre mesi, cioè 51 mesi. Che anni! Quanti desideri e rimpianti, ripensando, che atroci dolori, e come sono invecchiato di spirito! Domani vestirò l’abito borghese, smesso 51 mesi fa e non più portato neppur per un’ora, e lascerò la mia cara divisa di alpino”. Concludeva così Carlo Emilio Gadda (Milano, 14 novembre 1893 – Roma, 21 maggio 1973) il suo Giornale di guerra e di prigionia in cui annotò con scrupolosità i fatti d’arme e soprattutto le pieghe dello spirito. Un percorso di vita militare ma anche di crescita umana, a partire da quell’anelito interventista e le aspettative della prima ora che lo indussero a partire volontario. Dopo l’addestramento a Torino venne inviato nel giugno 1916 sull’Altipiano di Asiago come sottotenente della seconda sezione dell’89º reparto mitragliatrici del 5º Alpini. Erano i mesi della Strafexpedition, durante la quale Gadda annota i passaggi in trincea, di cui coglie spesso l’effetto sull’animo: “Le cannonate non erano piovute più presso delle precedenti: eppure ero scosso. Per una strana ragione psicologica, che l’animo del combattente (…) è mutevole, e passa da estremo a estremo anche per fatti e ragioni che sfuggono all’analisi”. Ma la vita del soldato è fatta anche di snervanti attese che sfociano, soprattutto quando la guerra divenne di posizione, in una cruda constatazione della realtà: “Le nostre fanterie sono buone: il soldato italiano è pigro (…) provvede ai bisogni del corpo nelle vicinanze della trincea (…) tiene male il fucile (…) dormicchia durante il giorno, mentre potrebbe rafforzare la linea, in compenso però è paziente, sobrio, generoso, buono, soccorrevole, coraggioso, e impetuoso all’attacco”. Gli spostamenti dei reparti erano all’ordine del giorno e nell’agosto del 1916 la guerra di Gadda proseguì con il 3º Alpini fino a dicembre dello stesso anno, quando iniziò un periodo di convalescenza e licenze.

    Nuovamente inquadrato nel 5º Alpini lo ritroviamo in prima linea nell’estate del 1917 sull’Altopiano della Bainsizza e a Dosso Faiti dove si guadagnò la Medaglia di Bronzo al Valor Militare: “Sotto il violento fuoco di mitragliatrici conduceva volontariamente e ripetutamente, fin sulla prima linea, gli uomini di fatica incaricati del rifornimento di artifizi di guerra. Rendeva anche segnalato servizio rinvenendo militari dispersi e conducendoli al fuoco. Dosso Faiti 19-23 agosto 1917”. Pochi mesi dopo e precisamente il 25 ottobre venne fatto prigioniero tra Ternova e Caporetto, mentre con il suo reparto tentava di superare l’Isonzo. “Finiva così la nostra vita di soldati e di bravi soldati (…) con la visione della patria straziata, con la nostra vergogna di vinti iniziammo il calvario della dura prigionia, della fame, dei maltrattamenti, della miseria, del sudiciume (…)”. Più tardi ricordò le tappe di quel calvario: Bischoflak, Rosenheim, Rastatt e infine a Celle vicino Hannover dove vi rimase fino al termine della prigionia, nel gennaio 1919. Poi il lungo ritorno verso casa, l’arrivo a Milano e la notizia della scomparsa del fratello Enrico, anch’egli alpino del 5º e pilota militare, morto in un incidente di volo. Il dolore per la sua perdita, il rapporto difficile con la madre e l’infelicità della sorella sono elementi che si ritroveranno nel romanzo incompiuto La cognizione del dolore, iniziato nella seconda metà degli anni Trenta, quando Gadda maturò l’idea di lasciare la professione di ingegnere e di dedicarsi totalmente alla letteratura. Il suo epitaffio recita: “Qui nel cuore antico e sempre vivo di sogni e d’utopie Roma da asilo alle spoglie di Carlo Emilio Gadda geniale e studioso artista dalle forti passioni morali e civili signore della prosa”.