Orgogliosi di lui

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    La cartolina in arrivo dal Distretto militare parlava chiaro: destinazione Como, in fanteria. Tanto bastò, 30 anni fa, perché quel giovane, appena dichiarato idoneo, facesse la malora. Mise in allerta il mondo. «Io fante a Como non ci vado neanche morto. Voglio fare l’alpino». E, alla fine, alpino fu. A Merano, caserma Rossi e poi nella vita. Claudio Bona, nato a Benna nel biellese, alpino lo è stato a tutto tondo. Non che fosse uomo di tante parole. Tasi e tira potrebbe essere il motto che meglio si attagliava al suo stile.

    Ce lo conferma anche il suo amico Luca, per tanto tempo al suo fianco nel volontariato e nel mondo del lavoro: «Quando tornava da qualche missione con gli alpini, raccontava quello che era successo. Ma non parlava mai di sé. Era come se lui non avesse fatto parte della scena, attribuendo agli altri il merito del lavoro ». Lo consegnassimo alla diagnosi di uno psicologo, ci direbbe che lui è il prototipo dell’altrocentrico, ossia di chi mette sempre al primo posto gli altri, l’esatto opposto dell’egocentrico. La sua alpinità, detto senza forzature ed esagerazioni, più che un segmento di vita, era uno stato psicologico. Anche in casa con Matteo e Fabio, i suoi figli, teneva uno stile pedagogico che potremmo sintetizzare in questo modo: gli alpini fanno così, punto e a capo. Tutto quanto faceva era ispirato da una identica passione civica e umana. Per dodici anni capogruppo degli alpini del paese. Capofila quando si trattava di organizzare feste e sagre di paese.

    Coordinatore delle attività sportive e animatore del carnevale, dove con la moglie Stefania, dava corpo al principe Ildebrandus, nobile del luogo nei tempi andati. Entusiasta animatore dove c’era da suonare la tromba e dare il via alle feste con i canti alpini. Claudio era tutto questo. Ce lo ricorda anche l’amico Roberto Bosi, coordinatore di Protezione Civile, Sezione di Biella. «Bastava chiedergli la disponibilità e sapevi in partenza che era un sì. Oltretutto lui era diventato bravissimo nel gestire il reparto cucina, nelle varie manifestazioni. Un ambito nel quale sapeva muoversi con sicura competenza, ma senza disdegnare di fare anche mille altre cose». Sorride Roberto pensando quando a Fossa, vicino a L’Aquila, gli fu chiesto di fare il bocia di un piastrellista. Che fosse inesperto lo si vedeva, ma la voglia di essere utile era più forte dell’inesperienza. Ma è soprattutto l’ultima missione di Claudio quella che meglio di altre ci racconta la pasta dell’alpino che era.

    È il 31 marzo del 2020. Da Bergamo, dove stanno allestendo l’ospedale per far fronte al dramma che si sta consumando, chiedono rinforzi. Roberto telefona a Claudio, il quale è al lavoro, nell’azienda tessile dove sta da una vita. «Dammi un’ora di tempo, per chiedere il permesso di assentarmi». In realtà basta mezz’ora per dare il via libera. È il 4 aprile, sabato, quando Claudio arriva a destinazione. Eravamo avvolti da un silenzio inquietante, ci racconta chi ha vissuto l’esperienza. Intorno non si udivano che i suoni laceranti delle sirene delle ambulanze. Claudio prende posto nel reparto cucine, dove si lavora dalle 5 alle 22 con turni massacranti. Si arriva così a domenica mattina.

    Non sono passate nemmeno 24 ore dall’arrivo, quando a Claudio, immerso tra pentole e fornelli, squilla il telefono. Lo vedono un attimo smarrito. In realtà gli hanno appena comunicato che sua madre è morta improvvisamente. Qualcuno si presta ad accompagnarlo a casa. «No, replica deciso. Finisco il turno e poi prendo il treno. Mia madre ora non ha più bisogno di me e qui c’è tanto bisogno. Ma fatto il funerale torno immediatamente ». Il mercoledì, puntuale come un orologio svizzero è di nuovo ai fornelli. Passano poco meno di due mesi e a Claudio viene richiesta una nuova disponibilità. È la fine di maggio e lui riparte. Questa volta deve occuparsi di logistica, ma anche di dare una mano per mettere a nuovo la sede degli alpini di Bergamo.

    Lui si fa carico dei balconi in legno. Pazienza, sudore e pazienza. Ma Claudio è felice e aspetta le dieci di sera, per tirare fuori la tromba e cominciare a far festa con musica e canti. Felice come solo i semplici sanno essere. È agosto quando le ferie gli ricordano che bisogna tirare il fiato. Con la famiglia sale in camper e via. Un po’ di mare e un po’ di cultura, Gubbio, Siena e altro ancora. Ma a quell’anno particolare manca ancora un importante appuntamento, il 25º di matrimonio. Scade il 2 settembre ma si festeggia il 5, di sabato, quando si è liberi dal lavoro.

    Claudio dice di non sentirsi molto in forma. Lunedì 7 va dal medico, che gli diagnostica un’asma incipiente. Purtroppo non era così. Alle 17.30, sulla porta di casa, chiude gli occhi per sempre, per un attacco di cuore. Più che le parole, a raccontare questo alpino, sarebbe bastato partecipare ai suoi funerali. Uno di quelli dove lo stupore lascia capire quanta seminagione avesse fatto col suo gioioso e operoso silenzio.

    Ha scritto di lui il sindaco. «Il 7 settembre 2020 se n’è andato Claudio Bona, una persona stimata, benvoluta da tutti, che si è sempre adoperata per la nostra comunità e non solo. Claudio, marito, padre, alpino, volontario della Protezione Civile Ana, volontario dello Sport e Folclore, musicista che sapeva accogliere chiunque con un sorriso e una battuta, lascia un grande vuoto. Oltre ad aver sempre dato una mano per il nostro paese, in più occasioni si era distinto in giro per l’Italia come volontario, con la Sezione alpini di Biella. Nel 2009 era partito per le zone terremotate dell’Abruzzo e qualche mese fa in quel di Bergamo, in piena emergenza Covid. Grazie Claudio per non esserti mai tirato indietro. Grazie per quello che ci hai dato e ci hai insegnato».

    Bruno Fasani