Onore delle armi

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    Estate del 1915, primi mesi di guerra. Mentre sul Carso e in Cadore si combattevano sanguinose battaglie, nel settore Valcamonica, come nel resto del fronte della 1ª Armata, gli ordini erano di mantenere le posizioni, senza tuttavia escludere offensive locali per migliorare l’assetto difensivo. In base a quest’ultima disposizione, gli alpini del battaglione Morbegno per primi passarono all’azione, ma nel vano tentativo di conquistare il Passo Paradiso lasciarono sul ghiacciaio un grande numero di morti e feriti.

    Al termine dello scontro e fino a tarda sera, i soldati austriaci del 2º reggimento Landesschützen, sventolando una bandiera bianca, si presero cura dei feriti italiani e diedero degna sepoltura ai Caduti. In un rapporto, siglato con la dicitura “Gefecht am Passo Paradiso am 9 Juni 1915”, erano poi indicati tre ufficiali e quindici alpini rimasti sul campo, mentre un capitano e quattro soldati gravemente feriti cessarono di vivere nella notte. In loro ricordo, su di un masso nelle vicinanze, verrà poi scritta con vernice nera una frase in lingua tedesca, traducibile così: “Nella battaglia del 9.VI.1915 perirono la morte eroica: capitano G. Villani sottotenente M. Pompelo [Pompele] sottotenente P. Petrani [Petterino] e 1 sottotenente [Arrigoni] con 19 uomini del 5. Reg. alpini”.

    Una fotografia dove si leggevano queste parole era inviata, tramite la Croce Rossa austriaca, al deposito del 5º Alpini a Milano e da qui alla famiglia del capitano Giuseppe Villani, insieme agli effetti personali. La sua salma veniva sepolta nel cimitero militare austriaco di Stavel, a poca distanza dal valico del Tonale, per poi essere trasferita nel dopoguerra all’ossario di Castel Dante a Rovereto. Un mese dopo anche il comando austroungarico tentava un’azione di sorpresa ai danni del presidio italiano del rifugio Garibaldi. Partiti dalla loro base del Mandrone, nella notte sul 15 luglio 1915 gli attaccanti superarono i posti di vedetta ma si trovarono ben presto sotto il fuoco nemico e dovettero infine ritirarsi, con gravi perdite: 6 furono i morti e 10 i prigionieri.

    Cinque Caduti erano sepolti lì nei pressi e un bravo scalpellino, tale V. Romano di Biella, incise nel granito questo epitaffio: “GLI ALPINI ITALIANI QUI COMPOSERO NELLA PACE ETERNA LE SALME DI 5 SOLDATI AUSTRIACI † AL PASSO GARIBALDI COMBATTENDO PER LA LORO PATRIA IL 15-7-1915”. La lapide con la scritta si trova tuttora lassù, ben visibile a lato del sentiero che porta al Passo Brizio. Il sesto Caduto, identificato con il nome di Franz Klein, raccolto gravemente ferito, morì poco dopo al rifugio Garibaldi. Veniva sepolto ai piedi di un grande macigno di tonalite, tra il rifugio e il lago sottostante: la stessa mano scolpiva le seguenti parole: “FRANZ KLEIN SOLDATO AUSTRIACO † AL PASSO GARIBALDI COMBATTENDO PER LA SUA PATRIA IL 15-7-1915”.

    Prima di deporlo nel sepolcro – un tumulo di pietre alto circa 50 centimetri – gli alpini ne onoravano la memoria presentando le armi dinanzi alla sua bara. Come avevano fatto un mese prima i Landesschützen, rendevano l’estremo omaggio al coraggio dell’avversario; il gesto veniva ripreso in una stupenda fotografia che in seguito diventerà molto famosa. Il giorno dopo, il bollettino del Comando Supremo comunicava che l’attacco nemico al rifugio Garibaldi era stato respinto con la cattura di prigionieri. La notizia trovava spazio sulle prime pagine di tutti i quotidiani nazionali; successivamente, in una cronaca sulla guerra in Adamello, il giornale locale La Provincia di Brescia ritornava sul combattimento, indicando che la sepoltura dei Caduti austriaci era avvenuta “con gli onori militari poco distante dal rifugio”.

    Passarono gli anni, la guerra finì: il 7 luglio 1920 una squadra della 22ª sezione di Disinfezione, agli ordini del ten. cappellano don Antonio Aimale, procedeva all’esumazione della salma di Klein – del quale era opinione comune si trattasse di un cadetto viennese – per darle sepoltura nel settore riservato ai caduti austroungarici del cimitero militare di Val d’Avio. Rimase l’iscrizione a ricordare il suo nome e il fatto d’arme dove aveva trovato la morte; poi con la costruzione della diga del Venerocolo, alla fine degli anni Cinquanta del secolo scorso, il luogo veniva sommerso dalle acque per tornare visibile solo nei momenti di magra dell’invaso.

    Quanto detto finora è storia abbastanza nota; oggi però durante il lavoro di ricerca per un testo sui cimiteri della Guerra Bianca, di prossima pubblicazione, si è potuto aggiungere un importante tassello alla vicenda. Confrontando alcuni dati, si è giunti a stabilire chi era veramente il valoroso soldato austriaco al quale gli alpini avevano fatto il presentat’arm. Il nome esatto era Franz Keim, zugsführer – grado equivalente a sergente – del 1º reggimento dei Tiroler Kaiserjäger, nato il 1º aprile 1887 a Sterzing-Vipiteno. Come per il capitano Villani, anche il comando italiano doveva aver fatto pervenire notizie alla sua famiglia perché un mese dopo, sulle pagine del quotidiano Innsbrucker Nachrichten, era pubblicato un necrologio che terminava con queste parole: “Ora riposa nelle sue montagne così amate, nel gruppo dell’Adamello al rifugio Garibaldi in suolo italiano”.

    Certamente la tomba più degna per un soldato della montagna. Presto però la guerra mostrerà il suo lato più crudele e disumano; così gli episodi di pietà e rispetto reciproco per l’avversario, come quelli avvenuti sul fronte alpino nei primi mesi del 1915, non si verificarono quasi più.

    Massimo Peloia