Nostalgia e cappello alpino

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    Ho frequentato il corso Auc a Lecce nel 1953. Quest’anno è il 70º anniversario da quando al campo Santa Rosa della caserma Picco mi distinguevo nell’atletica. Non lo dico per vanità ma per sottolineare meglio la prima parte di corso, rimastami cara. Il corso per allievi ufficiali di complemento ci rimase impresso, con la brezza del mare che ci accarezzava, i nostri sogni di gioventù, con la bellezza del paesaggio del Tavoliere e delle vestigia sveve-normanne. Dolci nostalgiche emozioni. Nella seconda parte del corso mi trovai a frequentare la specializzazione a Sabaudia, alla scuola Dat, Difesa Antiaerea Territoriale, coi cannoni 90/50 telecomandati da radar, prime “armi sofisticate” forniteci dagli Usa. Non più corse all’aria aperta, ma sinossi in aula studio e addestramenti al pezzo nel cortile. Addio alle specialità prospettatemi (alpino/bersagliere) per le mie attitudini naturali. Ora sono contento di appartenere ai Gruppi come amico aggregato. Perché ritrovo nella baita lo spirito di corpo di 70 anni fa: quei giorni furono gioia di appartenenza a prescindere dalla nostra provenienza regionale. A proposito in quel tempo, che più vado avanti con gli anni (92 quest’anno) più mi diventa nostalgicamente vicino, si diceva che l’ufficiale appartenesse a qualunque arma dell’Esercito. Questa norma è ancora valida? E se sì potrei anch’io indossare il capel d’alpin alle manifestazioni? Dal momento che alcuni associati lo stanno portando perché figli di alpini, ma il grigioverde con la penna nera non l’hanno mai visto. Viva il servizio militare concepito come momento irripetibile di amicizia e socializzazione fra giovani dalle bellissime regioni d’Italia. Una grande occasione che poi nella vita non si è più ripetuta.

    Piero Pistori, Gruppo Quinto di Valpantena, Sezione di Verona

    Caro Piero, complimenti per la limpidezza della memoria e per la verve, che non tradiscono certo un’età così splendidamente avanzata. Condivido in pieno i tuoi sentimenti, avendo frequentato anch’io un corso Auc, seppur 25 anni dopo, ad Aosta. E comprendo anche umanamente il tuo desiderio di indossare il cappello alpino. Ma lo Statuto dell’Ana in proposito è chiaro: è socio alpino e, di conseguenza, può portare il cappello con la penna solo chi abbia svolto almeno due mesi di servizio nelle Truppe Alpine, a prescindere dal grado. Non dovrebbero, quindi, indossarlo neppure i figli di alpini, seppur per nobile condivisione di sentimenti. La tua appartenenza al Gruppo come amico aggregato ti dà tutte le possibilità di vivere nei fatti l’esperienza di vita associativa. Portare il cappello alpino appagherebbe probabilmente una sorta di desiderio identitario solamente dal punto di vista estetico, ma credo che sia ben più importante essere, come sei tu, consci di avere servito la Patria a prescindere dalla specialità di appartenenza.