Miracolo alpino

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    Siamo ancora una volta qui; chiusi nelle nostre giacche grigie, con le coccarde tricolori bordate di nero e rosso. L’ultima volta eravamo color del cielo, ricordate? L’acqua di Udine però è lontana. Oggi le uniche cose grigie sono i nostri capelli, le nostre barbe orgogliose.

    Il cielo è splendido e l’Emilius è bianco anche lui. L’azzurro intenso ha scacciato le ultime nuvole riottose che hanno cercato sabato di rovinarci la festa, senza peraltro riuscirci. L’Aosta aspetta tranquillo dietro la Testa Fochi perché sarà l’ultimo a sfilare. La Scuola Militare Alpina sfilerà giustamente con loro. Piccoli crocchi di pennuti si scambiano manate sulle spalle, testando la resistenza delle suddette giacche ed il loro contenuto. Omacci grandi e grossi si abbracciano piangendo come se non fossero passati quaranta o cinquant’anni dall’ultima volta.

    Sugli ormai onnipresenti telefonini si incidono nuove immagini e si condividono foto di nipoti e figli. Qualcuno grida un nome, scrutando la folla compatta. Altri gli fanno eco ed ecco emergere dalla marea grigia il volto cercato: nuovi abbracci. Poi, quasi all’improvviso, i Capisquadra ci fanno urgenza: “Forza, in fila per quattro!”. Goffamente, dapprincipio, e poi con rigore crescente, le file si compongono, per Gruppo e Sezione, la Smalp per ordine di Corso. Di fianco alle mura romane i tamburi della Fanfara iniziano a battere il passo. Cominciamo a scendere la breve discesa e ci auto allineiamo in un silenzioso dest-riga.

    Il guazzabuglio di voci pian piano sopisce, dette le ultime cose. Si cerca di tenere il passo, ma l’eco delle vie riporta ora anche il palpito di altre fanfare che ci confonde un poco. Sporadicamente prima e via via sempre più folte poi, due ali di folla iniziano a circondarci in un abbraccio caldo e palpabile. Una voce più avanti grida stentorea: “Ch’a cousta lon ch’a cousta…” un tuono risponde “viva l’Aousta” sia dalle file che dagli astanti. È l’abbraccio citato prima che si ripeterà per tutta la sfilata ad ogni chiamata: l’abbraccio degli alpini alla loro città e l’abbraccio della città ai propri alpini. Inutile nascondere la commozione se è un fattor comune… La colonna gira intorno ai palazzi ed ora si butta nelle vie strette della città vecchia.

    Ora capiamo perché ci hanno inquadrati solo per quattro. A metà di via Croix de Ville, stretti tra gli spettatori plaudenti, da una delle compagini dei corsi Auc un vecchio tenente grida potente al proprio corso: “corso xy, a posto” Le schiene antiche si rizzano, le braccia si irrigidiscono, i petti si gonfiano come un tempo nonostante qualche prorompente sporgenza sopra le cinture, il passo si fa marcato. Persino due alpini in armi tra il pubblico smettono di chiacchierare all’ordine imperioso e si assestano automaticamente nelle loro mimetiche senza esserne consapevoli.

    La voce irrompe nuovamente ancor più veemente di prima in un lunghissimo: attenti aaaaa…. Dest! e badabum! i piedi sinistri battono forte il vecchio selciato e le mani destre salgono di scatto alle consunte visiere nel rigoroso saluto che si riserva solo alle massime autorità. Sfilano marziali per una decina di secondi tra gli applausi commossi, sino a che un “Fissi!” riporta tutto alla normalità. Ma il saluto a Papà Marcel era d’obbligo… Ora la fanfara rimbomba il proprio orgoglioso “33” e tutti noi ci rimettiamo in ordine perché stiamo per passare sotto il palco di piazza Chanoux.

    C’è il nostro presidente che ci osserverà e non vogliamo ramanzine dal nostro capogruppo a cui dobbiamo moltissimo. Il palco è gremito da personalità e rendiamo loro omaggio, anche se in realtà sappiamo bene che il nostro omaggio principale va alla città che ha dato a tutti noi i nostri natali alpini, una città che non potremo mai dimenticare, una città che non potrà mai dimenticare noi lei stessa. Raggiungiamo ora il punto di scioglimento e si riformano i crocchi di compagni.

    Ora si va a mangiare ancora una volta insieme. Alcuni scelgono di tornare per il rancio in caserma e rifare la fila sotto la vecchia pensilina che li ha visti ventenni. Ottima l’occasione per incrociare nuovamente vecchi e leggendari comandanti e stupirsi di come loro si ricordino di ognuno di noi. Ci si è vicendevolmente tatuati nel tempo. Aosta fa sempre qualche miracolo alpino, infatti.

    Renato Ferraris