Dicono così coloro che abitano alle pendici del Monte Grappa e quando ne raccontano la storia, la morfologia, le battaglie che qui vennero combattute è tangibile un attaccamento viscerale verso questa terra. Il sentimento per il Grappa è un’eredità che passa di generazione insieme alle vicende che lo videro protagonista consegnandolo alla storia come un pezzo di Patria. Marino, amico degli alpini iscritto al Gruppo di Possagno, mentre saliamo con l’auto verso Col Moschin ci racconta di uomini, battaglie, tradizioni. Raggiungiamo poi Col Caprile e la celebre lapide dedicata alla memoria del soldato Peter Pan posta accanto a quella a ricordo dell’alpino Luigi Temani caduto alla fine del 1917 durante la Battaglia di Arresto.
«Adesso partiamo per Cima Grappa, lasciamo l’auto e cominciamo a camminare ». Un uomo del fare Marino, modi spicci e diretti, si fermerebbe ore a raccontare di questi luoghi, degli inverni silenziosi quando cade la neve e finalmente restano in pochi a camminare lungo l’unica traccia segnata dalle ciaspe o dagli sci. In questa stagione però, dal Sacrario, si ha una visuale completa sull’intreccio di sentieri scavati a mezza costa, fino alle propaggini più avanzate che puntano alla pianura. Un atollo erboso da percorrere grazie ai numerosi itinerari che si sviluppano tra i 1.400 e i 1.775 metri di Cima Grappa. «Prendiamo per di qua. Per il sentiero delle Meatte, scendiamo un po’ e poi risaliamo… guarda un camoscio! Due, tre… qui ce ne sono sempre», Marino interrompe per un attimo il suo racconto. Le Dolomiti Bellunesi appena imbiancate, il Civetta, l’Agnèr e la Schiara, la montagna di Belluno.
«Davanti a noi la dorsale dei Solaroli che si allunga fino al Monte Tomatico. Lì si è combattuto fino alla fine, anche quando non era più necessario, gli ultimi morti sono del novembre 1918». Percorriamo la mulattiera di arroccamento che taglia il versante sud del Monte Meatte. Numerosi ricoveri, gallerie, riservette, caverne, serbatoi d’acqua scavati nel biancone, la roccia calcarea e compatta del Grappa. Il sentiero corre a picco sulla Valle di San Liberale, esposto, ma ampio, ben segnalato e con una pendenza che non stanca. Raggiungiamo mandria Archeson e da qui in auto il Monte Palon. Marino è stato ed è il responsabile dei lavori di ripristino che hanno interessato questa zona. Alpini provenienti da tutta Italia, sono stati impegnati a turno per sgomberare trincee, ricoveri e riservette. «Ne ho visti di alpini sudare su questa montagna.
La parte più difficile però è stata all’inizio, è stato convincere gli scettici e buttar giù un progetto. Ma adesso guarda, che lavoro. Vengono i ragazzi delle scuole con i professori, passano qui qualche giorno, imparano sul campo, che a volte vale di più che sui banchi di scuola. Sono esperienze che non dimenticheranno ». Mentre camminiamo lungo la trincea, Marino si ferma a strappare le erbacce che crescono tra le rocce dei muri a secco, libera i passaggi, sistema le pietre. «Io qui ho dovuto dimostrare il doppio rispetto agli altri» lo dice sorridendo, ma il rammarico è evidente. «Avevo fatto domanda di fare l’alpino, ma sono finito in cavalleria. Da queste parti sono tutti alpini, è quasi un disonore non esserlo. Per questa ragione ho fatto di tutto per mettermi al servizio dell’Associazione e della storia». Raggiungiamo l’osservatorio, «ci sarebbe ancora tanto da fare…». Sbuchiamo fuori dai camminamenti e di nuovo un orizzonte vasto si apre davanti a noi, con l’ultima appendice orientale del Grappa, il Monte Tomba che si allunga fino alla pianura. Alle spalle Trento e Belluno, davanti la “città diffusa” che da Vicenza raggiunge Mestre, la Laguna, il mare. Un orizzonte che toglie il fiato.
Queste quote erbose che conservano ancora i buchi dei colpi sparati, rappresentarono il riscatto delle truppe italiane dopo il disastro di Caporetto. “Enrico Busa riuscì a vivere fino al 5 dicembre 1917. Quest’uomo che amava la vita, l’amicizia e la buona compagnia; che da civile faceva il segretario comunale in un nostro comune a mezza montagna, assieme a pochi alpini superstiti di tante battaglie, cadde combattendo come un leone dopo giorni e giorni di asprissima lotta. Girando lo sguardo a mezzogiorno vedeva Bassano, le colline di Marostica, i Colli Berici e Euganei, il Brenta fino alla Laguna e Venezia: lottava per gli amici, per le donne amate che erano laggiù, per il buon vino di Fara. Per lui la Patria era un concetto troppo astratto*. Morì così, e il suo corpo fu uno dei tanti senza nome, nel mucchio di Malga Lora…”.
L’Italia era tutta lì, in uno sguardo: la pianura e le Alpi, verso nord le Dolomiti, verso est l’Adamello. Stretti tra il Brenta e il Piave, nelle giornate limpide si vedevano i paesi, i campi, fino agli Appennini e oltre.
Mariolina Cattaneo