L’orrore e il ricordo

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    Hanno i capelli bianchi. Molti si appoggiano ad un bastone. Ma si sono alzati in piedi al giungere di Sergio Mattarella, il Capo dello Stato che ha voluto essere presente a Longarone, Erto e Casso alle cerimonie per il 60º anniversario della tragedia del Vajont. Sono i sopravvissuti della catastrofe, 55 in tutto e sono i soccorritori che, in realtà, poco poterono fare: il 9 ottobre 1963 si staccarono dal Monte Toc 270 milioni di metri cubi di roccia precipitando nel bacino artificiale e sollevando una colonna d’acqua di 200 metri che si scagliò con l’onda d’urto di un’arma nucleare sulle abitazioni, cancellando ogni cosa e portandosi via 1.910 persone, 487 delle quali erano ragazzini al di sotto dei 15 anni.

    La più grande tragedia provocata dall’uomo nel ‘900. Per 38 giorni giovani militari scavarono anche a mani nude per recuperare i corpi, molti dei quali non furono neppure più trovati: erano soprattutto del 7º reggimento alpini e del 6º artiglieria da montagna della Cadore, subito inviati sul posto. Un lavoro doloroso e pietoso, che ha segnato per sempre le loro menti e i loro cuori e che oggi viene raccontato ancora con profonda emozione; un compito svolto con l’incredibile disciplina morale delle penne nere di leva, compito riconosciuto dallo Stato col conferimento alle Bandiere dei due reparti della Medaglia d’oro al Valor Civile.

    Con gli alpini intervennero anche Vigili del fuoco, forze dell’ordine e altri militari; e fu da lì che mosse l’idea di dare vita alla Protezione civile. E ai soccorritori del Vajont, Longarone ha dedicato, il giorno precedente la visita del presidente della Repubblica, un viale. Impossibile riassumere le iniziative che Longarone e gli altri Comuni hanno messo in calendario per il 60º anniversario: hanno occupato e occupano l’intero arco del 2023 con una propaggine nel 2024, con mostre, convegni e concerti.

    La cerimonia del 9 ottobre ha rappresentato il momento più alto: l’immagine di Sergio Mattarella che da solo attraversa le file dei cippi del cimitero di Longarone rimarrà scolpita nel tempo a significare la consolidata consapevolezza della necessità di rispettare la natura, senza volerla ciecamente piegare alle ragioni del profitto.

    Come profonda emozione ha suscitato il coro di 487 bambini, ciascuno dei quali portava un cartellino col nome di un coetaneo perito nella tragedia, che ha accolto il presidente al canto di Stelutis Alpinis, accompagnato dalla tromba di Paolo Fresu (poi esibitosi con un quartetto d’archi nel piazzale della diga, dove una corale composta dalle otto formazioni vocali delle Dolomiti bellunesi ha cantato l’Inno d’Italia). Diga che, costruita con maestria nel luogo sbagliato, si erge ancora sinistro monito sulla verticale di Longarone e sulla quale Mattarella ha camminato con Antonio Carrara, sindaco di Erto, il paese dello scrittore alpino Mauro Corona, testimone di resilienza citato dal presidente.

    Tra le autorità il presidente della Camera, Lorenzo Fontana, il ministro per i Rapporti col parlamento, Luca Ciriani, i presidenti di Veneto e Friuli Venezia Giulia Luca Zaia e Massimiliano Fedriga e il presidente della provincia di Belluno nonché sindaco di Longarone, Roberto Padrin. Per ragioni di spazio il numero di invitati era contingentato, ma le penne nere, oltre che dai soccorritori del 1963, erano rappresentate dal nostro presidente nazionale, Sebastiano Favero, assieme al comandante delle Truppe Alpine gen. C.A. Ignazio Gamba. «Quei morti – ha detto il Capo dello Stato – tuttora turbano e interrogano le coscienze. Quando arrivarono gli alpini qui c’erano solo morte e distruzione. Ma la gente ha reagito, con tenacia.

    Guardando negli occhi severi dei sopravvissuti – ha continuato – possiamo dire che la Repubblica non ha dimenticato». E, a lungo applaudito, ha affermato che la documentazione relativa al processo (che, aveva poco prima ricordato Zaia, produsse peraltro soltanto due miti condanne) «dovrà rimanere in questi luoghi, ammonimento per evitare altre tragedie ».

    Massimo Cortesi