Così reagì l’Ana

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    Nel 60º del Vajont ci siamo chiesti come l’Ana reagì alla sciagura. Era plausibile un richiamo a Sezioni o Gruppi ad accorrere sul posto, ma ciò non avvenne per non intralciare Esercito, Vigili del fuoco e Croce Rossa. Ci siamo messi allora alla ricerca di notizie sui numeri de L’Alpino del 1963/1964. L’iniziativa Ana si esplicò raccogliendo fondi “pro alpini superstiti alla tragedia” e coniando una medaglia e una targa. Sorprende dopo 60 anni il modo preciso con cui fu documentata l’iniziativa, quasi come se si dovesse lasciare la più completa informazione ai posteri, poiché la medaglia non fu un semplice “ciondolino”.

    La medaglia compare nel giornale di dicembre 1963: la prima pagina ne riporta fronte e retro insieme alla identica targa-ricordo. L’allora presidente nazionale Erizzo spiegò anche l’uscita in forma ridotta de L’Alpino, sole 4 pagine, per risparmiare e sostenere l’iniziativa. La relazione morale di Erizzo a maggio 1964 ricorda: “(…) Era naturale che provassimo orgoglio nel vedere che i nostri soldati, anche i giovani, sono sempre all’altezza del compito. (…) È sorta l’idea di dare un segno di riconoscenza a quanti avevano partecipato all’opera di soccorso”.

    La medaglia fu pensata per tutti i militari, anche non alpini che erano intervenuti, mentre la targa era per Comandi, Corpi ed Enti. La medaglia doveva andare solo ai soccorritori, individuati con elenchi ufficiali. “Abbiamo respinto la richiesta di chi la voleva in dono, o peggio, a pagamento. (…) Perderebbe valore, vedendosi ridotta a un qualsiasi ciondolo”, tuona Erizzo. Ideatore del disegno fu l’alpino Alberto Zacco: sue anche le parole Vi chiamò il dovere, trovaste l’orrore, vi sostenne l’amore”. Parole che oggi potrebbero ben appartenere ai motti della Protezione civile.

    Altre medaglie furono consegnate a civili anche stranieri prodigatisi nei soccorsi. Lo testimonia la lettera di ringraziamento all’Ana scritta da James Mourton del “The save the children fund” di Ortona (Chieti). Inoltre, la Sezione trevigiana segnalò che 32 giovani Rover dell’Associazione Scautistica Cattolica, clan Treviso 1 Nostra Signora della Strada e clan Treviso 2 La Quercia, erano intervenuti già l’11 ottobre.

    La sede nazionale inviò ai due clan una pergamena col disegno della targa del Vajont e l’elenco nominativo degli scout intervenuti. La pergamena era disegnata a mano da Tino Carlevero di Milano. L’Alpino di marzo 1964 racconta che furono coniate 16.880 medaglie e 60 targhe. Lo riporta la cronaca dell’incontro della riconoscenza a Belluno il 4 marzo, dove Erizzo, presente Giulio Andreotti, ministro della Difesa, consegnò le targhe e 180 medaglie. Le restanti furono date al comando della Cadore per la distribuzione. All’articolo seguiva l’elenco degli Enti che ricevettero la targa. Il 4 novembre 1964 a Longarone si tenne la cerimonia per elargire i contributi. Il consigliere nazionale Giuseppe Rodolfo Mussoi racconta la consegna degli assegni alle famiglie di alpini che avevano subito perdite: 83 assegni di 87.000 lire per i nuclei di Longarone. Furono raccolte 14.623.306 lire.

    Mussoi evidenzia l’aspetto morale: solidarietà degli alpini con gli alpini, come lo Statuto dell’Ana esigeva. Viene spiegato inoltre che il 4 novembre fu scelto per parificare i Caduti alpini del Vajont a quelli di guerra, riconoscendo “i principi di solidarietà che devono spingere ad essere vicino al fratello colpito”, anticipando la regola “Onoriamo i morti aiutando i vivi”. A settembre 1964 compare un testo di Egisto Corradi, giornalista del Corriere della Sera e soprattutto alpino reduce di Russia, Medaglia d’argento: rimarca il sentimento di solidarietà fra alpini in armi e in congedo come un’unica famiglia e conclude “finalmente la popolazione ringrazia anche i generali, cosa che da troppo non si vedeva”.

    A corredo spiccano le immagini della medaglia della riconoscenza. Quel pezzo di metallo fu una svolta carica di significato morale, così come fu lungimirante narrare con precisione l’iniziativa, affinché tutti in futuro potessero assaporare la purezza che animò la vicenda.

    Andrea Bianchi