Lo spirito giusto

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    Sarah Sementilli è una alpina in armi iscritta all’Associazione. Nata a Trento, classe 1988, ha il papà alpino; per questa ragione ha maturato la decisione di seguire la tradizione famigliare e nel 2010 si è arruolata nelle Truppe Alpine. Dopo aver prestato servizio al 2º reggimento trasmissioni alpino di Bolzano e successivamente nel 5º Alpini di stanza a Vipiteno, dal 2012 è effettiva presso il reparto comando e supporti tattici Tridentina che ha sede a Bolzano. È sposata con un trasmettitore alpino e mamma di due meravigliose bambine che ammirano e stimano la loro professione. Dal 2015 è iscritta al gruppo alpini Acciaierie Valbruna di Bolzano.

    Quali ragioni ti hanno portato a scegliere di arruolarti nell’Esercito? Ho ricordi molto vividi e profondi della mia infanzia, ad esempio ricordo con precisione il profumo della crema che tutte le mattine mio padre spalmava sui suoi anfibi, li spazzolava così tanto che una volta finito ci si poteva specchiare. Io che ero alta poco più di un metro mi sentivo orgogliosa nel vedere quell’uomo che ogni mattina indossava con onore quell’uniforme per andare a svolgere il proprio dovere, senza mai tirarsi indietro. In più occasioni, quando la famiglia si riuniva, capitava che lui non fosse insieme a noi, ma mi confortava il fatto che la sua assenza era dovuta al fatto che era stato chiamato ad aiutare chi aveva bisogno. Negli anni ho poi maturato la consapevolezza di ciò che rappresentano per me le istituzioni e i suoi simboli, come la Bandiera. Indossare l’uniforme, che ad alcuni può sembrare solo “una divisa”, mi dà un profondo senso di appartenenza così come vestire il cappello alpino ed il calzare quegli anfibi che anche oggi profumano di lucido rendendo vividi i miei ricordi d’infanzia. Ora con il mio servizio militare questi simboli mi appartengono come non mai.

    Quali ragioni ti hanno portato ad iscriverti all’Associazione Nazionale Alpini? Mi ero appena arruolata, quando, passando davanti alla sede del Gruppo del mio piccolo paese di provincia, pensai che essendo una alpina, l’iscrizione sarebbe stata un passaggio dovuto. Invece, nonostante l’idea iniziale, feci passare qualche altro anno. Fino a che un collega, oggi Capogruppo, spinto da una passione estremamente coinvolgente per l’Associazione e per quello che rappresenta sul territorio nazionale, è riuscito in poco tempo a rendermi parte attiva di un gruppo di alpini che spendono parte del proprio tempo a favore del prossimo. Ho partecipato alle più disparate attività, dalla colletta alimentare, all’aiuto concreto sul territorio e soprattutto a tutti i momenti associativi dove il cameratismo e lo spirito di corpo alimentano il senso della mia appartenenza all’Associazione. Trovo che per un alpino in armi iscriversi all’Ana non sia altro che un completamento personale e mi accorgo che in maniera semplice e spontanea, senza nemmeno rendermene conto, sono riuscita a conciliare la carriera professionale con la consapevolezza e l’orgoglio di poter portare avanti la tradizione degli alpini nel tempo.

    Come hai trovato il mondo degli alpini in congedo? Vi sono somiglianze con la realtà degli alpini in armi? Il mondo degli alpini in congedo è semplicemente un mondo da scoprire e credetemi probabilmente non basterebbe un’intera vita per scoprirlo tutto! Frequentando l’Associazione, leggendo i mensili, mi accorgo che ogni alpino arruolato in qualunque lustro, decennio o ventennio precedente, racchiude in sé esperienze vissute, ricordi, emozioni e racconti che vale la pena ascoltare, metabolizzare e conservare nella memoria. Ne ho ascoltati tanti ed ogni volta mi perdo nelle voci dei veci che raccontano di cameratismo e di spirito di Corpo, di storie di montagna e di sacrifici di altri tempi. Sacrifici che però non vedo lontani da quelle piccole odierne rinunce a cui devono sottostare i miei giovani colleghi che provenendo da altre regioni svolgono il servizio lontano dalle proprie famiglie. Sono convinta che frequentando i nostri Gruppi, oggi come allora, c’è la possibilità di incontrare associati come noi che sono in grado di coinvolgerli nelle tante opere che poniamo in essere. Frequentarci, stare insieme e impegnarsi nei diversi progetti, non fa altro che alimentare quelle opere di solidarietà che contraddistinguono la nostra Associazione. Davanti ad un bicchiere di vino intonando un canto della tradizione alpina.

    Quali sono le sensazioni che provi nell’indossare il cappello alpino? Ringrazio per avermi dato l’opportunità di rispondere a questa domanda. Il cappello alpino non è solo un copricapo da indossare, è un simbolo. Portarlo con orgoglio significa onorare tutti coloro che prima di noi hanno combattuto per una Paese unito e libero. Sono convinta che le Truppe Alpine dell’Esercito italiano custodiscano un passato e un vissuto davvero importante. Essere all’altezza di quanti ci hanno preceduti è una sfida costante ed impegnativa che assorbe tutte le nostre energie. Forse proprio per questo la popolazione ci riconosce nei valori che quotidianamente cerchiamo di portare avanti con il nostro operato e veniamo apprezzati soprattutto per come lo facciamo. Di questo ne sono fiera.

    Il fondatore dell’Associazione Nazionale Alpini, il capitano Arturo Andreoletti, scrisse che “una cosa è essere alpini, una altra è essere vestiti da alpini”. Secondo la tua opinione, per quale ragione sono così pochi gli alpini in armi iscritti all’Ana? È difficile, anche se non impossibile, sentirsi alpini per chi non ha una tradizione familiare alpina. Questo è indiscusso e l’ho notato in tutte le realtà di caserma in cui mi sono rapportata. Peso non indifferente, purtroppo, è attribuibile anche alla nostra società, improntata maggiormente sulla tecnologia e sull’individualità del singolo, oltre che, ahimè, sulla poca attenzione all’importanza del contatto personale con le realtà che la circondano. Ritengo che questi due concetti appena espressi sintetizzino in breve il vero problema della mancanza di iscrizioni. Tuttavia, e lo credo fermamente, cambiare rotta è possibile. Ritengo che sia importante sostenere i giovani iscritti dei singoli Gruppi, soprattutto se appassionati, e sostenerli con entusiasmo. Non sarà difficile per loro, perché si sa, l’entusiasmo è contagioso, attirare giovani leve ad iscriversi all’Ana mettendosi al pari di questa nuova generazione telematica che probabilmente deve solo essere capita.