L’ideale e la realtà

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    Ho apprezzato quasi per intero l’editoriale del numero di giugno. Mi sono molto piaciute le parole dell’anonimo autore, che mi hanno ricordato un celebre verso di Ungaretti: “Di che reggimento siete fratelli?”. Ciò che non posso condividere, da cittadino prima ancora che da alpino, è una frase contenuta nel “cappello” introduttivo: “Posto che aborrisco ogni forma di violenza, sia fisica che psicologica, e ritenendo le armi una di queste forme…”.

    No, caro direttore! Io ho giurato fedeltà alla Repubblica Italiana, la cui Costituzione, all’art. 52 dice: “La difesa della Patria è sacro dovere del cittadino”. E la Patria si difende non solo ma anche (se disgraziatamente fosse necessario) con le armi. Armi che, ricordiamolo sempre, sono uno strumento, che può essere usato bene o male, come tutti gli strumenti. Un carabiniere che, pistola alla mano, impedisce a un pedofilo spaventato dall’arma di violentare un bambino o a uno stupratore di portare a termine la sua brutale violenza, non solo compie il suo dovere ma fa un saggio uso delle armi, che non sono da demonizzare in quanto tali. Si può uccidere anche con una chiave inglese, con un badile o con un forcone. O con l’indifferenza che è la peggiore delle armi. Coloro che combattevano al fianco di Teresio Olivelli non usarono forse anche le armi per liberare l’Italia? Se le armi fossero sempre una forma di violenza da aborrire, come dice l’anonimo nell’editoriale, dovremmo condannare, per coerenza, anche tutti coloro che si ribellarono, armi in pugno, al regime nazista che occupava più di mezza Europa. Fecero male? Alzi la mano chi ha l’impudenza di condannarli!

    Giorgio Fabbri

    Caro Giorgio, credo che dobbiamo separare il piano ideale, che spesso ci lambisce come un sogno o una speranza, dalla realtà con cui dobbiamo misurarci tutti i giorni. Succede così anche con l’amore, quello che ispira poesia, arte, canzoni… Purtroppo sappiamo che la prosa dell’amore è molto diversa dall’ideale, ma sarebbe davvero triste se smettessimo di crederci, facendo di tutto per perseguirlo. Sognare un mondo senza armi e violenza è legittimo e denota sentimenti nobili da coltivare, sapendo perfettamente che poi la vita ci porta a misurarci con la concretezza delle situazioni. San Giovanni Paolo II si espresse ripetutamente contro la violenza e l’uso delle armi, ma non ci pensò un momento a chiedere l’ingerenza umanitaria per Sarajevo. Questa è la difficile convivenza tra l’ideale da coltivare e la realtà da gestire.