L’Esercito silente

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    Un ufficiale austroungarico presente durante l’azione italiana compiuta nel 1916 per la conquista del Passo della Sentinella vide scivolare da un canalone innevato, una dietro l’altra, delle figure biancovestite che parevano fantasmi, tanto che vennero soprannominati dagli austriaci “Diavoli bianchi”. L’azione fu talmente fulminea e spettrale da terrorizzarlo ma, allo stesso tempo, da riconoscerne l’arditezza. Per la cronaca sappiamo che quelle figure formavano il plotone speciale che la futura Medaglia d’Oro Italo Lunelli (nome di guerra Raffaele Da Basso in quanto irredento trentino) aveva pazientemente preparato e che quelli erano gli uomini soprannominati “Mascabroni”, termine indicante “uomini duri, avvezzi alle fatiche”. Fu proprio grazie alla scelta oculata delle persone e al loro paziente addestramento specifico che si potè raggiungere il successo, conquistando la spinosa postazione nemica del Passo della Sentinella. Oggi chi frequenta quei luoghi rimane meravigliato di come sia potuto accadere, ripensando anche all’equipaggiamento e alle attrezzature dell’epoca.

    L’aspetto uniformologico delle sopravvesti bianche non fu secondario, tant’è che fu evidenziato sia nella memoria dell’ufficiale austriaco Oswald Ebner, sia in un articolo di Giovanni Lorenzoni (che fu colui che per primo fece il nome di Lunelli indicandolo come l’uomo più adatto alla bisogna): “Lunelli scelse 17 uomini di eccezionale robustezza e già provati per coraggio e, vestitili con cura minuziosa tutti di bianco comprese le fodere dei fucili e il cappuccio chiuso con soli spiragli per gli occhi, li allenò ad arrampicate vertiginose…”.

    I più esperti e appassionati della storia militare alpina hanno sempre immaginato che proprio quei camicioni mimetici fossero stati usati sui ghiacciai dell’Adamello o sull’Ortles-Cevedale, soprattutto durante le grandi battaglie in cui i plotoni “skiatori” ne fecero largo uso. Nel settembre-ottobre 1915 la “Centuria Valtellina” operante nella zona del Gavia, per mascherarsi durante gli spostamenti su neve, usava indossare la camicia di flanella bigia sopra l’uniforme grigioverde.

    Col tempo, si fece richiesta specifica di camicioni speciali di tela bianca che, tuttavia, non erano previsti da regolamento, né erano in dotazione. Unica soluzione fu pertanto quella di ricercare nel “mercato civile” capi d’abbigliamento più idonei alla mimetizzazione in attesa di una soluzione ufficiale che arrivò non più tardi del 1917, dopo svariati esperimenti e combinazioni. All’interno della nazione sorsero numerosissimi Comitati per l’Assistenza Civile, formati per lo più dalle donne che, rimaste senza il sostegno economico degli uomini, dovettero far fronte a gravi perdite economiche, oltre che affettive. Le donne diedero larghissimo contributo nel confezionare abiti e accessori per il vestiario, soprattutto invernale, da inviare ai soldati al fronte tant’è che il gen. Cadorna definì l’elemento femminile della nazione come “l’Esercito silente”.

    Con rara lungimiranza anche lo Stato si accorse della necessità d’intervenire, assicurando alle donne non solo una fonte assistenziale e retributiva, ma soprattutto dando l’opportunità di partecipare alla produzione bellica con articoli che più si confacevano all’abilità manuale femminile. Il confezionamento di abiti e parti di essi ad uso dei soldati al fronte diveniva la soluzione immediata per far fronte alla duplice necessità di guerra e di sostentamento economico alle più bisognose. Un esempio fra tutti i comitati sorti durante la guerra fu quello dell’Unione Femminile Nazionale di Milano: uno dei sodalizi più grandi, con centinaia di donne che lavoravano nella sede milanese o a domicilio e che oggi possiamo ricostruire grazie a numerosi documenti conservati, permettendoci di avere un quadro preciso di questo vasto fenomeno.

    L’Unione Femminile sorta all’inizio del 1915 in Corso di Porta Nuova 20, organizzò prima di tutti un Comitato per l’Assistenza agli emigrati che rimpatriavano ed ebbe l’idea di raccogliere e confezionare per loro indumenti. Successivamente organizzò lavori a domicilio per andare incontro alle richieste dei più bisognosi. Quando scoppiò la guerra si pensò ai soldati al fronte e l’Unione aprì i laboratori di maglieria a macchina l’8 luglio 1915 e quando si aggregò ai Laboratori dell’Ufficio III del Comune di Milano in seguito alla riforma organizzativa imposta dal Governo, aveva già eseguito da sola 26.720 capi e pendevano contratti per altri 38.700 capi. Nel vasto archivio esistono le lettere e le ricevute dei militari che si congratulano per gli oggetti ricevuti.

    Fra le molte, figura quella del cap. Francesco Bertarelli del Reparto Esploratori Guide del Rifugio Garibaldi. Egli scrive il 26 agosto 1915: “… gli oggetti sono stati distribuiti e il sorriso buono di questi miei ‘ragazzi’ è il migliore ringraziamento che io possa mandare a cod. Spett. Unione Femminile, a tutte le donne italiane che nella quiete della casa hanno lavorato pensando ad essi!”. Un’altra, meno ufficiosa e burocratica, è quella di un soldato di una sezione d’artiglieria dall’Alto Cadore che spedisce una cartolina con incollata una stella alpina: “Contraccambiando di cuore con questo bel fiorellino che ho raccolto dalle più alte vette delle Alpi, lo dono col cuore e con affetto”. Un’altra lettera colpisce per la coccardina tricolore in lana incollata alla carta e per la località da cui arriva: la signorina Bentivoglio, 70 Young St., Annadale- Sydney. “Accetta questo oggetto, o caro Soldato d’Italia, che le porti i migliori auguri per il trionfo delle nostre armi e per la loro buona fortuna. Questo è il desiderio mio! Nata in Italia, ho vissuto a lungo a Sydney e ora frequento questa Università”.

    Le autorità militari e politiche ritennero dunque soddisfacente l’iniziativa dei Comitati d’Assistenza Civile: i capi d’abbigliamento prodotti protessero il soldato dal freddo e contribuirono largamente in alcune azioni belliche come quella del Passo della Sentinella o più in là come quelle effettuate dai reparti “Skiatori” di adamellina memoria. Le autorità politiche trovarono infine l’iniziativa utile per mantenere alto lo spirito patriottico della nazione, rappresentato dall’elemento femminile fino ad allora ai margini della vita economica del Paese.

    Fu così che si arrivò ad usare a fini propagandistici la produzione di capi d’abbigliamento per i soldati al fronte. Moltissime istruzioni di confezionamento di capi semplici vennero addirittura pubblicizzate su giornali d’epoca femminili e non, affinché tutte le donne potessero contribuire allo sforzo comune. L’autorità militare intervenne a sollecitare proprio queste istruzioni per uniformare meglio i modelli e ottimizzare la produzione, minimizzando i difetti e gli scarti.

    Lo sforzo produttivo venne infine enormemente incentivato dopo la “Mostra Nazionale Indumenti” che si tenne a Milano, nel chiostro di Santa Maria delle Grazie, il 1º novembre 1916. Ad essa parteciparono 131 privati, 38 comitati, 24 fra collegi, scuole ed istituti e 8 società provenienti per la maggior parte dal nord e centro Italia, per un totale di circa 250 modelli di articoli esposti. Il concorso metteva in luce quelle tipologie d’indumento che più soddisfacevano all’uso loro destinato e quindi per servire da campionatura per tutte le donne che volevano confezionarli. Questo fu il criterio di giudizio al quale la giuria nominata all’uopo doveva uniformarsi.

    In questa gara i più addestrati e abili furono i Comitati di Preparazione ed Assistenza Civile, i Laboratori, le Scuole che produssero capi d’abbigliamento comodi, pratici e facili da confezionare. Fu così che vennero esposti questi lavori anche sopra dei manichini: candidi costumi per le vedette d’alta quota, vestiti per gli “skiatori” con pellicce, zoccoloni e gambali foderati d’agnello, guanti in lana con manicotto, sciarpe e passamontagna. Accanto a questi indumenti, figuravano quelli marroni-verdognoli per il terreno carsico: cappotti impermeabili, sovra calzoni di pelle di capra, sacchi a letto, tuniche, sacchi da piedi contro il fango, panciotti imbottiti, berretti d’ogni genere e foggia e mantelline.

    La calzatura fu l’articolo più studiato e rielaborato poiché l’esperienza bellica dimostrò la sua fragilità: vi erano quindi modelli di fascia piedi, calze, calzettoni, gambali, ghette, suole di carta, di sughero, pantofole, zoccoloni chiodati e impeciati, cordati o impagliati. Ingenti quantità di accessori vennero esposti come cuscinetti, guanciali, sostegni di ogni sorta per malati e feriti per creare appoggi per i fratturati che il Comitato Bergamasco di Assistenza Civile aveva La “Mostra Nazionale Indumenti”, allestita nel 1916 nel chiostro di Santa Maria delle Grazie. ideato. Particolare successo ebbero poi i corredi antiparassitari, maschere antimalariche, guanti speciali contro le zanzare, calzerotti da indossare sopra le medicazioni dei feriti ed amputati per le congelazioni, giubbe e calzoni con speciali abbottonature giudiziosamente nascoste in modo da permettere esami e medicazioni senza che il paziente si svestisse completamente.

    Questo concorso, oltre all’immediato risultato di offrire modelli che agevolarono e disciplinarono un più proficuo lavoro, rivelò uno sforzo complessivo di ricerca e di attitudini ingegnose le quali, si pensava, potevano trovare utile applicazione anche dopo la guerra, soprattutto per le donne italiane. Un’altra particolarità fu che i prodotti utilizzati per il confezionamento degli abiti erano “rifiuti” delle lavorazioni industriali e quindi materiali che si credevano inutilizzabili: un sistema ecologico e contro lo spreco ante litteram.

    La storia ha assodato che la riuscita dell’azione militare al Passo della Sentinella fu determinata dall’oculata e precisa preparazione tecnica e materiale degli uomini impiegati e che anche un “semplice lenzuolo bianco” indossato da un manipolo di uomini contribuì al successo. Un risultato che va condiviso con coloro che confezionarono con particolare dedizione quei capi d’abbigliamento, utilizzando soluzioni tecniche di prim’ordine e portando beneficio economico e produttivo a tutta la nazione.

    Andrea Bianchi