La storia della Tota continua…

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    Ringrazio per il materiale inviato da tre alpini che va a completare la bella storia della cammella di don Giancarlo Pezzo del Gruppo di Boscochiesanuova scrive che suo papà, il serg. magg. Remo Pezzo, maniscalco del btg. Val Chiese, verso il 10 settembre 1942, all’apparire, afferrò la cammella per la fune e la trattenne. Il colonnello Policarpo Chierici, comandante del btg. Val Chiese, la affidò alle sue cure. Da subito essa presentava all’addome un largo squarcio, cucito in qualche modo dal tenente medico Piero Redaelli di Seregno. Per anestetico il freddo glaciale, ferita sanata con l’applicazione di acido salicilato. Remo Pezzo aveva due aiutanti, uno di questi, l’alpino Gian Battista Bignotti divenne il conducente della cammella che chiamò “Tota” a ricordo delle tòte, vispe ragazze torinesi viste nel periodo di leva. Pietro Neboli, Capogruppo di Sopraponte di Gavardo, scrive che il Bignotti, da sempre iscritto al suo Gruppo, era l’unico che aveva potuto avvicinare la Tota (confermato anche dai suoi figli) e al quale essa ubbidiva. La sera del 19 dicembre 1942 iniziò il ripiegamento verso ponente, senza viveri per la truppa, senza foraggi per gli animali. Vicino alle isbe abbandonate, “sua altezza”, data la mole, si sfamava con i pruni selvatici, con gli sterpi e, grazie al suo lungo collo, con la paglia bruciacchiata e marcita sui tetti delle isbe. Allora Remo Pezzo, memore del ricordo delle elementari “che il cammello è la nave del deserto”, in quei giorni attaccò la Tota a trainare 3-4 slitte cariche di feriti e formò il “Convoglio della Neve”, del quale essa fungeva da portabandiera. Fortunatamente dopo giorni terribili, il 26 gennaio 1943 arrivò nei pressi di Nikolajewka, verso la salvezza. Pur col suo olimpico procedere in lentezza, senza di essa molti sarebbero rimasti laggiù. Finalmente fuori dalla sacca, il 23 febbraio 1943 una tradotta riportava in Italia i pochi italiani scampati, i loro muli e la Tota che fu accolta nel Giardino zoologico Molinari di Milano. Intere scolaresche andavano a salutarla e “la principessina” ricevette la visita anche del tenente medico Piero Redaelli, che riconobbe facendogli festa con la testa (sue parole). Anche il conducente Bignotti era stato portato a Milano per rivederla, ma al suo arrivo non c’era più. A tal proposito lo scrittore Eugenio Bertuetti nel suo libro scriveva che era stata trasferita allo zoo di Roma per accoppiamento e sul recinto spiccava sempre la targhetta con la scritta “Dono del battaglione Val Chiese”. Annotava anche, con felice sorpresa, che la Tota alla fine si chiamava “Val Chiese” ed aveva avuto un cammellino, discendente di mamma leggendaria. Ma lo zoo di Roma in quel periodo la cedette ad un circo equestre. Poi, da notizie verbali raccolte, risulta che questa fu l’ultima dimora per l’intelligente bestiola la quale in breve tempo sembra sia morta per inedia, cioè si sia lasciata andare per non aver più avuto accanto la sua famigliola.

    Giorgio Bighellini, Gruppo di Buttapietra, Sezione di Verona

    La storia della Tota è molto più di un racconto curioso in tempo di guerra. Essa dice come l’amore tra gli alpini e gli animali (muli in primis ovviamente) sia rivelatrice di una profonda ecologia dell’animo, capace di prendersi cura dell’ambiente, in tempi di guerra e di pace, ma anche di ciò che lo popola, dalle persone agli animali compresi.