La nostra Preghiera

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    Leggo su L’Alpino di novembre a pag. 4 la lettera pubblicata in grande evidenza di don Loris Cena e a pag. 5 la sua risposta ad Armando Bernardi, e mi sembra di trovare una strana correlazione tra le due pagine. Lei argomenta allo scrittore, (che le chiedeva un pensiero, un ricordo, una qualche posizione sulle morti nel Mediterraneo), che la cosa non si può fare perché la politica deve stare fuori dall’Ana. A parte la distinzione tra “politica” (che è cosa che facciamo tutti con i nostri semplici atti quotidiani) e la “partitica”, che è argomento che richiederebbe un approfondimento che sarebbe complicato affrontare in due parole, trovo che invece sia lei che sta prendendo posizioni partitiche. La questione che richiama il don Cena risale a qualche tempo fa e si riferisce al fatto che alcuni sacerdoti hanno suggerito che, visti i tempi che corriamo e visto il razzismo dilagante, forse era opportuno, (pensando appunto al Mediterraneo di cui sopra), evitare che si leggesse in chiesa l’ultima frase della Preghiera dell’Alpino che recita “rendi forti le nostre armi contro chiunque minacci la nostra Patria, la nostra Bandiera, la nostra millenaria civiltà cristiana”. Che sono poi le parole che fanno da sottofondo costante alle rozze narrazioni di una certa parte politica che infatti ha pensato all’epoca di fare fuoco e fiamme contro il povero prete naturalmente comunista. Anche a me personalmente quella frase, nel contesto storico odierno, dà enorme fastidio e tralascio di recitarla quelle poche che mi capita ancora di pregare, ma le chiedo: a che pro rispolverare in grancassa un argomento così controverso se si vuole restare giustamente neutrali e apartitici?

    Ezio Serenthà, Monza

    Caro Ezio, personalmente accetto sempre la diversità di opinioni, anche se qualche volta ci metto un po’ di pepe con l’ironia (ma questo solo per rendere più… appetibile il prodotto e non per tirare le orecchie a ragazzini monelli, come mi rimprovera un amico alpino) e sono ben contento che il nostro giornale sia una vetrina di pluralismo. Quello però da cui mi dissocio nel tuo scritto è quando tu asserisci che le parole della nostra preghiera «fanno da sottofondo costante alle rozze narrazioni di una certa parte politica». Toglierle vorrebbe dire che finiamo per identificarle con il programma di quella parte politica. Sappiamo bene che non è così, anche se qualcuno potrebbe servirsene strumentalmente. Ma a quel punto dovremmo anche abolire il Rosario, visto che qualcuno sbandiera strumentalmente la corona. Sta a noi piuttosto dare contenuto, senza ambiguità, alle parole della nostra preghiera.