“L’intero incanto selvaggio appare, come un’opera d’arte, perennemente nuovo quando vi si ritorna”. Un mondo completamente bianco si presenta poco sotto il rifugio ai Caduti dell’Adamello, affiorano qua e là cime di roccia nera con punte e creste taglienti come lame. Severe, sembrano inaccessibili. L’innalzamento delle temperature ha mangiato metri di ghiacciaio, quella vastità bianca come un mare, privo di spigoli, vive solo nei ricordi di chi, ogni anno, ne calcava la schiena durante i giorni del Pellegrinaggio.
Eppure, anche oggi, è un impatto forte guardarsi per un attimo indietro e vedere le proprie orme sulla neve; una lunga linea obliqua che traversa il Pian di Neve accompagna la sensazione di essere sopra al mondo insieme a pochi compagni di viaggio a condividere il cammino. Cinque o sei file di luci piccole e tonde in movimento nel buio della notte; all’alba sfumature di viola e rosa si spandono nel cielo, tutto intorno lo scricchiolio degli scarponi sulla neve, per il resto solo silenzio.
Avanzare a fatica verso l’alto, sentire nelle gambe la pendenza aumentare, poi dopo qualche ora di cammino quella spaziosità attesa che lascia libero lo sguardo sulle cime circostanti. Sulla Nord dell’Adamello, sul Corno Baitone, su Cresta Croce e le Lobbie, sull’infinita conca della Val di Fumo, sono questi i panorami dei pellegrini in cammino giovedì e venerdì. In molti hanno raggiunto il rifugio Serafino Gnutti nella Val Miller, la mattina del sabato per la cerimonia in quota con la Messa concelebrata dal cardinale Re, dal vescovo di Brescia Tremolada e da monsignor Bazzari. Vessilli e gagliardetti, il Labaro scortato dal Presidente Favero, dai consiglieri nazionali e dal generale Berto.
La dedica del Pellegrinaggio è per la Medaglia d’Oro al Valor Militare Serafino Gnutti. Nelle poche fotografie rimaste, il volto sereno e fresco di un giovane ventenne, alpinista, figlio di una famiglia di industriali di Lumezzane (Brescia). Dopo il fronte francese, partì per l’Albania con il battaglione Val Chiese. Qui cadde il 21 gennaio 1941, al comando del suo plotone, chiedendo in ultimo ai suoi alpini di “tenere duro”. E poi, nell’anno del Centenario dell’Ana, la scelta di ricordare alcuni tra i Padri fondatori: Daniele Crespi, Tomaso Bisi, Arturo Andreoletti, Guido Larcher e Giuseppe Capè, intitolando loro le cinque colonne. Tutti affrontarono il sacrificio imposto dalla guerra, tutti in tempo di pace, salirono e percorsero i sentieri fino al ghiacciaio dell’Adamello. Come gli alpini oggi.
Tutti, anche coloro che sono saliti in elicottero lo hanno fatto per ricordare, ognuno si porta qualcuno con sé, qualcuno tolto allo sguardo. Ma non c’è solo la commozione, c’è l’orgoglio dell’appartenenza, la voglia di allegria, la felicità di ritrovarsi e di stare insieme superando le fatiche e i disagi, merito della montagna capace di condurre fin quassù alpini da tutta Italia, come Mario Spinelli di Carmignano (Prato), classe 1937 pellegrino della colonna 1, che da più di un decennio si è innamorato di queste valli e non manca mai. Poi la domenica a Sonico per la cerimonia finale. È stato un abbraccio vero e proprio quello di un piccolo paese di montagna dell’alta Valle Camonica: alpini e pellegrini per un giorno hanno riempito le strade che salgono verso un centro storico di viuzze strette tra case di pietra e muri in sasso. Un tricolore ad ogni finestra.
Volontari di tutte le età, persino bambini, si sono spesi nel gestire l’accoglienza, i posti branda e il tendone per il rancio (la cena del sabato e colazione e pranzo della domenica). Dietro a tanta umanità, il primo cittadino, alpino della Smalp, Gian Battista Pasquini. Il motore della macchina perfetta questa volta è la Sezione Vallecamonica, in testa il Presidente Mario Sala, con i veci fedelissimi accanto alle avanguardie che hanno trottato non poco per fare correre tutto in modo perfetto. Ed è proprio durante la cerimonia conclusiva a Sonico che il generale Berto ha parlato da: «Alpino tra gli alpini. Ieri ero un militare, un generale, nei luoghi della battaglia guardavo i picchi, il ghiacciaio, le creste, immaginavo come muovere i reparti. Ma oggi no!
Oggi sono uno dei 350mila tesserati dell’Associazione Nazionale Alpini. Una realtà davvero straordinaria, un patrimonio della comunità». In ultimo, il Presidente nazionale Favero: «Da questo 56º Pellegrinaggio vorrei lanciare un messaggio: il ritorno di un servizio obbligatorio per i nostri giovani che disponibili e capaci attendono solo di essere messi alla prova. Ecco perché quando si parla di Terzo settore siamo convinti che anche l’Ana debba essere coinvolta per quanto ha dimostrato fino ad ora».
Quindi la Messa celebrata da monsignor Morandini, Nunzio apostolico emerito e la sfilata, una lunga fila colorata stretta tra l’affetto concreto della gente. Poi arriva la fine, succede sempre. Si affardella lo zaino, si carica l’auto e si salutano gli amici con l’animo gonfio di sensazioni. Un sentimento che accomuna tutti, lo si sente senza ascoltare così come si respira senza pensare.
Mariolina Cattaneo