La guerra di Italo

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    Italo Facchini ha 93 anni. È nato il 4 marzo 1918 a Belprato, un piccolo paesino della Valle Sabbia in provincia di Brescia. Era il più giovane di 5 figli e ha trascorso la sua giovinezza tra il duro lavoro in campagna che, come accadeva una volta, consisteva nell’unico sostentamento per il nucleo famigliare. A 21 anni, chiamato al servizio di leva negli alpini, iniziò una lunga e burrascosa carriera militare che lo porterà in mezz’Europa per sei lunghi anni. Nel marzo del 1939 a Vipiteno, fu inquadrato nella Compagnia comando del battaglione “Vestone”, 6° Alpini, divisione “Tridentina”. Nel maggio 1940, a neppure due mesi dalla fine del servizio militare, avendo la Germania invaso la Francia, Italo venne richiamato e inviato a Nizza con il suo reparto.

     

    Esauritasi la fulminea azione tedesca in Francia, i militari italiani furono spostati su altri fronti. Tra luglio e settembre 1940, Italo è in Albania, dove rimane fino al giugno 1942, quando torna in Patria sbarcando a Bari. Una breve sosta di quattro mesi a Torino, poi, nel luglio 1942, iniziò l’assedio di Stalingrado da parte dei tedeschi e anche l’Esercito italiano venne inviato a combattere in terra sovietica. Italo ricorda la Russia con tre parole: morte, freddo e stenti; il cibo non solo scarseggiava, “mancava del tutto!”. Ricorda gli alpini sul fiume Don, dove sostarono per alcune settimane e il 20 gennaio quando il battaglione Vestone con il Valchiese, sfondarono a Opyt, Postojalyi e successivamente a Nowokarkowka. E poi il 26 gennaio a Nikolajewka. Ci vollero 11 attacchi per uscire dai sei accerchiamenti dell’esercito russo.

    Durante la ritirata, Italo, con il resto dei soldati italiani, camminò per dieci giorni al gelo per raggiungere Rassas, cittadina nella quale avrebbe preso il treno per tornare in Italia. Lungo il tragitto a piedi, molti furono i compagni che non ce la fecero e che persero la vita, stremati dal freddo e dalla fame. Erano talmente mal ridotti e irriconoscibili che Italo si accorse solo verso la fine del tragitto che un suo cugino gli camminava accanto! Ma non era ancora finita. Al ritorno in Patria, tra il 9 e il 10 luglio 1943, gli alleati sbarcarono in Sicilia e iniziò così la lenta liberazione del Paese. Il 13 ottobre 1944 Badoglio dichiarò guerra ai tedeschi; nell’Italia settentrionale Mussolini costituì la Repubblica di Salò. Italo fu inviato al Brennero per controllare i tedeschi che scendevano in Italia.

    Venne invece catturato a Colle Isarco, condotto a Innsbruck a piedi e poi in treno, fino a Königsberg (oggi Kaliningrad), dove c’era un campo di concentramento, e obbligato a lavorare in un cantiere navale. Fortunatamente, quel popolo che una volta aveva combattuto, nel 1945 andò a liberarlo e, dopo sei mesi poté tornare in Italia; il ritorno in treno fu molto lungo: durò un mese! Arrivato alla stazione di Pescantina (Verona), si seppe che i soldati potevano andare dal prefetto di Brescia a ritirare una somma di lire 3.000 come ricompensa per il loro coraggio e lavoro. Italo non ci andò perché l’unica cosa che desiderava era tornare finalmente a casa dai suoi cari.

    Pubblicato sul numero di maggio 2011 de L’Alpino.