La cultura della solidarietà

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    Non è possibile dimenticare quello che iniziò a marzo del 2020 nella cui scia, seppur sbiadita, viviamo ancora oggi. Non lo è per molte ragioni, ma la prima forse è che davanti a un evento tragico che ha coinvolto nello stesso momento la maggioranza dei popoli nel mondo, la risposta è stata un crescendo di senso civico e di consapevolezza, declinabile nelle varie forme della solidarietà. Solidarietà che non si limita ad esserci nel momento del bisogno, ma (e questo fa la differenza) al modo in cui si è, in quel momento, in quel posto. Con un sorriso, con la volontà di aiutare, con la bontà disarmante delle persone semplici che si mettono al servizio senza troppe storie. Umanità, direbbe Beppe Parazzini.

    Sono stati tanti i volontari che hanno lavorato durante la pandemia, tanti i professionisti, ognuno ha fatto la sua parte, anche restando a casa e rispettando le regole. Poi con il nuovo Governo è arrivato un generale con la penna ed è così che, alla quarta ondata, il virus non ci ha colto impreparati. Per quest’opera monumentale di umanità, Regione Lombardia ha istituito la “Giornata regionale della riconoscenza per la solidarietà e il sacrificio degli alpini” che cadrà ogni anno il 2 aprile (data che ha visto nel 2020 la benedizione dell’Ospedale in fiera a Bergamo, opera messa in piedi in sette giorni da artigiani bergamaschi in sinergia con volontari e alpini, alla regia la Sanità Alpina dell’Ana).

    La cerimonia ufficiale di questo conferimento si è svolta a Bergamo, città alpina, simbolo nazionale che rimanda al periodo più buio della pandemia. Accanto al Labaro scortato dal Presidente Sebastiano Favero, dal gen. C.A. Ignazio Gamba e dai consiglieri nazionali, c’erano le massime autorità locali, il prefetto Ricci, il presidente del Consiglio regionale della Lombardia Fermi, il sindaco Gori, esponenti della provincia e della Regione. Un coro all’unisono per dire grazie agli alpini “tesoro di capacità organizzative, esempio morale”, e all’Ana “agenzia formativa ed educativa per i giovani”.

    Non è consuetudine riscontrare una comprensione a livello istituzionale, ma quando un riconoscimento arriva è motivo di incoraggiamento, una pacca sulla spalla che invita alla riflessione su ciò che è stato fatto e su quanto ancora ci sia da fare. Dopo la cerimonia e gli interventi, una conferenza dal titolo “Alpini ieri, oggi… domani?”, sul palco Manuel Principi ha moderato gli interventi di Chicco Gaffuri, Gianni Oliva e Alessandro Fermi che ha letto un messaggio di ringraziamento agli alpini di Giovanni Malanchini, impossibilitato ad intervenire. “Vincoli di profonda solidarietà originati principalmente dai legami tra gli uomini che prima di essere commilitoni, erano compaesani.

    Le virtù della gente di montagna confluiscono nelle virtù militari degli alpini: gente sobria, tenace, paziente, gente con la testa dura che resiste”, ha ricordato Oliva. Una mescita perfetta che dell’appartenenza alle Terre Alte ne è forza fondativa e propulsiva. “È la condivisione ad averci formati. Abbiamo avuto ottimi comandanti e la dimostrazione è che ognuno di noi è convinto di aver prestato servizio nel miglior reparto di tutte le Truppe Alpine”, è la voce modulata dalla commozione di Chicco Gaffuri a disegnare l’alpino della grande famiglia verde: “Siamo sovrapponibili, ne conosci uno ed è come se li conoscessi tutti”. Un tratteggio essenziale e preciso dell’animo alpino, del suo essere riferimento nella società che solo chi conosce e ancor prima vive appassionatamente l’Associazione come Gaffuri, può fare.

    Il coro Val San Martino e la fanfara dei congedati della brigata Orobica hanno chiuso in musica l’incontro. Le considerazioni ascoltate in questa giornata scongiurano la presenza del punto interrogativo dopo la parola “domani”, alle istituzioni il compito di individuare la forma perché le attese diventino realtà, magari ascoltando i tanti suggerimenti che l’Ana non ha mai smesso di mandare da quel lontano 23 agosto 2004, data che sancì la sospensione del servizio di leva. La fine di quella autentica scuola di vita, fuori da ogni retorica nostalgica, che era la naja.

    L’orizzonte non è privo di nubi, non lo è mai stato in tutta la storia del mondo. Ma piuttosto che restare inermi e preoccuparsi guardando lontano, occorre riconoscere le tante forme di bene attorno a noi, contribuire ove possibile a preservarle, e vivere in prima persona quei valori che di quel bene ne sono la matrice, come fanno gli alpini da sempre, fuori dalle classifiche e dalle categorie.

    Mariolina Cattaneo