L’estate rigenera la nostra identità

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    L’estate è per gli alpini tempo di rigenerazione. Se l’inverno è evocativo di vicende epiche, vissute su cime invincibili o nella steppa russa, quelle che il beato Carlo Gnocchi definì quasi una epopea biblica, la bella stagione dà respiro alla memoria, coinvolgendo e contagiando del nostro spirito migliaia e migliaia di persone, attratte dai riti della nostra presenza. E quasi sempre si tratta di commemorazioni celebrate nei sacrari a cielo aperto, quelli delle nostre montagne, dove gli alpini hanno scritto la loro storia e dove il linguaggio della natura racconta, con il tanto non detto dei suoi silenzi, il bisogno di grandezze che fiorisce dall’animo. Montagna e storia, fatica e conquista, concretezza e trascendenza…

    Vedere alpini, vecchi e giovani, amanti della montagna, famiglie con i loro piccoli, accomunati nelle stesse liturgie, ti fa capire quale sia il potere educativo e sociale della nostra Associazione. E qui capisci anche che l’Ana ha, sì, un dovere di far memoria del proprio passato, ma soprattutto è chiamata ad essere ossigeno nel presente. Come ricordavo agli amici presenti all’Ortigara, noi non siamo né custodi di cimiteri, né accademici che usano la testa per fare del passato un hobby culturale. Noi, i nostri Caduti li vogliamo ricordare, ma soprattutto vogliamo dare loro voce perché ci dicano come fare perché il presente sia il luogo dell’armonia e del vivere riconciliato. La loro è una voce forte, a tratti stentorea, per ricordarci che senza giustizia sociale e il senso civico del bene comune si sgretolano i muri portanti nella casa della pace. E l’assenza di pace non è necessariamente rumore di baionette. È povertà legata agli squilibri economico-finanziari. È insicurezza sociale legata alla macro e micro criminalità, è scontro di culture, è corruzione amministrativa, è disordine etico, è perdita di stabilità della famiglia…

    A chi rinfaccia alla nostra Associazione d’essere una sorta di Onlus per le cause sociali, ricordiamo che gli alpini sono stati servitori del tempo in cui sono vissuti, non una razza d’élite, da mettere sulle lapidi o sulle medaglie. Le gesta di chi ha operato sui campi di guerra si uniscono a quelle di chi ha operato in tempi di pace. Ed è una storia unica, inscindibile, il cui denominatore comune è la volontà di essere utili alla società, dentro alla quale si è chiamati a servire. Ma gli alpini non sono neppure degli intellettuali prigionieri dei libri. Dio sa quanto abbiamo bisogno di indagatori storici, ma senza che questo trasformi la nostra Associazione in un bozzolo incapace di aprirsi al presente.

    Senza le fatiche dei ricercatori saremmo solo dei conoscitori a spanne. Ma mettiamo semaforo rosso a chi presuntuosamente volesse confinarci nelle praterie di un passato fine a se stesso. Sono convinto che l’Ana abbia un ruolo di grandissima responsabilità civile da giocare nel presente. Non solo con la cultura delle opere, che il nostro Libro Verde racconta meglio delle nostre parole. Il ruolo che ci è chiesto è quello di ripristinare il senso civico della responsabilità, dentro un tessuto sociale sfilacciato. Parliamo spesso di valori quando raccontiamo la nostra storia. Ma se non riusciamo a dare concretezza a questi valori, si rischia di confinarli nella retorica, che gratifica nel momento in cui li si enuncia, salvo svuotarli di contenuto se non trovano applicazione nel vissuto di ogni giorno.

    Bruno Fasani