L'abbraccio di Trieste

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    DI CESARE DI DATO

    Nelle nostre adunate è sempre opportuno cercare il filo conduttore che ne guida lo svolgimento; questo perché esse sono uniche nel loro genere in Europa, uniche e straordinarie se si pensa al carattere di noi italiani poco portati a celebrazioni patriottiche. Orbene, è proprio questo patriottismo che assume il ruolo di filo conduttore: un patriottismo che è alpinità, comunanza di ideali, desiderio di soccorrere il prossimo. Tutto questo, miscelato in un contenitore chiamato città ospitante, ben agitato il pomeriggio del sabato, è servito caldo la domenica. La ricetta è sempre la stessa ma cambiano l’atmosfera, l’ambiente, le tradizioni. Si va dall’alpina Aosta che ti accoglie con compassato entusiasmo, ma non per questo meno caloroso, a Catania, ardente come il suo Etna, che ti stritola simpaticamente con una carica di alpinità che ti coglie alla sprovvista, a Genova che – città di tradizione marinara – si dimostra degna dell’anima alpina che la contraddistingue.

    Trieste non sfugge alla regola, anzi riunisce in sé molte delle caratteristiche dianzi citate: accogliente, estroversa, di tradizione marinara asburgica, montanara di monti non a portata di mano che fanno dei triestini alpinisti di vaglia. Ma, rispetto alle altre città, con un tocco in più: un amore per l’Italia che non conosce tentennamenti, un amore dimostrato senza riserva dalla popolazione nella nostra tre giorni alpina. Mi si potrà obiettare: “E ve ne siete accorti solo ora?Dopo sei volte che vi siete raccolti in piazza dell’Unità d’Italia carica di storia?” “ No – risponderei – non ce ne siamo accorti solo ora, ma ne abbiamo avuto la conferma dal comportamento delle autorità e dei cittadini, dai loro sentimenti, qui ancora genuini e che altrove si sono assopiti, travolti da idee troppo avanzate e da una politica che ha cercato e cerca di smorzare, di attenuare, di distrarre”. E, questo mantenere ben vivi e attuali i vigorosi sentimenti del passato, Trieste lo ha dimostrato in quei piccoli episodi che fanno grande l’adunata.

    Tre soli esempi: durante l’ammassamento, proprio di fronte al Labaro, a una finestra del primo piano si affacciano due ragazzine con un foglietto in mano. Seguono con attenzione il cerimoniale dell’assunzione di comando da parte del comandante del reparto schierato. Non appena la fanfara intona l’Inno di Mameli esse si uniscono al coro dei soldati e dei consiglieri ANA, leggendo dai foglietti le parole, evidentemente per non incorrere in errori. Al termine spariscono per ricomparire subito dopo quando l’inno è ripetuto dalla fanfara, ovviamente con il loro foglietto in mano. È stato bello cogliere dai loro visi la serietà e la compunzione che ne trasparivano. Raggiungiamo ora la terza tribuna, quella più a valle delle tribune delle Autorità; di primo mattino è già stipata di alpini e di loro congiunti. Solitamente in altre adunate si va svuotando per la partenza degli occupanti mano a mano che transitano le sezioni: a sera la tribuna è quasi vuota. A Trieste no. A Trieste i cittadini comuni hanno dato il cambio agli alpini, come su tutto il percorso del resto. Al passaggio del Labaro, dieci ore dopo, la tribuna era colma di triestini in tripudio. Il Labaro. Il Labaro ci ha riserbato un’ulteriore sorpresa: si sa che al termine della sfilata si accoda alla sezione ospite e percorre un lungo tratto del percorso accompagnato dal presidente nazionale, dal comandante delle Truppe alpine, dai consiglieri e solo da loro. Questa volta il numero degli accompagnatori si è praticamente raddoppiato: si sono uniti alla scorta ufficiale, oltre al ministro Giovanardi, il sindaco e molti suoi collaboratori non per un bagno di folla, ma per dimostrare il loro entusiasmo per questa straordinaria esperienza, quasi sicuramente a loro non del tutto nota. Hanno goduto dello stesso applauso riservato al Labaro, segno di apprezzamento del loro operato, in questa occasione, da parte dei loro amministrati.

    Sono trascorsi cinquant’anni dal secondo ritorno dell’Italia a Trieste (e non viceversa, come mi faceva notare un amico del posto); l’accoglienza nei riguardi degli alpini nel 2004 non è stata diversa da quella verso i primi bersaglieri nel 1918 o dei soldati del nuovo esercito italiano nel 1954. Trieste, te ne siamo grati.