“Incontrarsi e dirsi addio”

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    Mi scuseranno i miei pazienti lettori se mi sono impadronito del titolo di un noto romanzo del 1937 dello scrittore ungherese Ferenz Kormendi, ma mi è parso che esso ben si attagli all’argomento che mi accingo a trattare. Con il professor Alim Morozov – “andato avanti” lo scorso 24 agosto – mi incontrai, vorrei dire per dovere di ufficio, in una bella mattina del maggio 1993 nel centro di Rossosch: chi scrive, per una ricognizione del tratto terminale dell’itinerario che sarebbe stato percorso dai cento camper dell’impresa “Icaro 93” da lui organizzata e condotta da Milano a Rossosch in settembre, Morozov per farmi da guida tra le balche che ci separavano da Livenka, il capoluogo di cui Nikolajewka è sobborgo.

    Non lo conoscevo personalmente ma sapevo di lui che era un profondo conoscitore degli avvenimenti bellici svoltisi in zona avendoli vissuti in prima persona da ragazzo di dieci anni. Sapevo anche che era persona di tutto rispetto, animato da grande ammirazione verso gli alpini che aveva ben conosciuto nei pochi mesi della nostra occupazione. L’incontro, presente un interprete, fu da subito positivo e la reciproca simpatia si rinsaldò durante il viaggio di circa tre ore fino a Livenka fatto a bordo di una vettura un poco tossicchiante che, forse, si ricordava dei tempi di Stalin. La conduceva un autista piuttosto anziano, preoccupatissimo per la tenuta della macchina.

    Il professore invece, sereno e tranquillo, rispondeva con pazienza a tutte le numerose mie domande riferite alla tragedia di cinquant’anni prima senza mai cadere in frasi di comprensibile rivalsa. Io ero commosso al pensiero che si stava percorrendo l’itinerario calcato dai nostri eroici soldati, itinerario che definire “la via della gloria alpina” è riduttivo. A Livenka fu squisito anfitrione con il sindaco, anche lui assai amichevole nei miei confronti. Rimasi a Rossosch altri due giorni e in successivi incontri Morozov lasciò spazio alla memoria, ricordando la vita che condusse durante la nostra presenza in città rimarcando l’amichevole comportamento degli alpini verso la popolazione. Ricordava con piacere un sergente che lo aveva preso in simpatia e che lo conduceva spesso con sé, ove consentito, nelle varie operazioni giornaliere.

    Non mancò di parlarmi del suo progetto (poi realizzato) di raccogliere in un museo il numeroso materiale bellico di ambo le parti raccolto con pazienza certosina in quella zona così duramente toccata dalla guerra. Ci rivedemmo a settembre per l’inaugurazione dell’asilo “Sorriso”, ma fu l’ultima volta. Legato da grande amicizia con il nostro Presidente Favero, Morozov venne più volte in Italia, nel Veneto, ospite di due grandi alpini, Lino Chies e Cesare Poncato, ma non ebbi mai l’opportunità di incontrarlo.

    Me ne dispiaccio ancora adesso. Pur avendolo frequentato solo per poche ore (Incontrarsi e dirsi addio, appunto) posso affermare che egli appartiene a quella schiera di valentuomini che sanno apprezzare i valori essenziali del vivere civile e, in quanto tali, degni della massima stima.

    Cesare Di Dato