In trincea contro il virus

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    Da metà gennaio le notizie provenienti dalla Cina raccontavano di un’epidemia che nessuno, se non in qualche romanzo o in qualche copione di film catastrofista, avrebbe immaginato. A fine gennaio ero a Roma, presso i Comandi militari e il Dipartimento di Protezione Civile, per riflettere sulla struttura della nuova esercitazione Vardirex 2020 e ricevetti una telefonata in cui mi chiedevano come fosse possibile strutturare dei campi di accoglienza e quarantena per contagiati da Coronavirus. Fu in quel momento, davanti al cancello della sede del Dipartimento di Protezione Civile di via Vitorchiano, che mi resi conto con tutto il peso del caso che la guerra che stavamo per iniziare a combattere sarebbe stata terribile e lunga, contro un nemico invisibile.

    Da lì a qualche giorno, precisamente il 4 febbraio, la Sanità Alpina Ana veniva attivata per la prima volta con la nuova struttura, voluta già dal novembre 2017 e poi ribadita a settembre 2019 dal Consiglio Direttivo Nazionale, per presidiare alcuni aeroporti, in particolare quello di Orio al Serio di cui avevamo la gestione autonoma e in parte quelli di Malpensa, Venezia e Caselle. Iniziò così, quasi come un’attività non troppo preoccupante, un percorso che ci avrebbe portato, prima solo noi della Sanità Alpina e poi, un mese più tardi, anche i fratelli della Protezione Civile Ana, ad affrontare quella che sarà ricordata come la più grande emergenza sanitaria mondiale dal dopoguerra: la pandemia Covid-19. Siamo scesi in campo subito con l’organizzazione dei turni in aeroporto, la costruzione di un campo base dove accogliere i volontari provenienti da varie Regioni, la gestione logistica e operativa delle attività.

    Era evidente però che quanto fatto negli ultimi anni, con la riorganizzazione dell’Ospedale da Campo e poi con l’unione delle squadre sanitarie in un’unica grande Sanità Alpina, sarebbe stata una buona base di partenza: infatti le ottime fondamenta sulle quali poggia la nostra neonata struttura sanitaria permettono di essere pronti e rispondere adeguatamente a quanto chiede il Paese. Grazie al costante addestramento dei volontari e al tempo dedicato alle esercitazioni Vardirex, alle attività operative e associative sia nazionali che nei vari territori, ma soprattutto all’impegno di tutti, siamo riusciti in completa autonomia, unici nello scenario italiano, a gestire i controlli del 100% dei passeggeri in entrata dell’aeroporto di Orio al Serio (15-18mila passeggeri al giorno). Più di 150 volontari provenienti da varie Regioni, si sono avvicendati per sei settimane, senza sosta, coordinati a livello sanitario dal nostro direttore sanitario Federica De Giuli e supportati dal direttore logistico Antonio Tonarelli.

    Il 9 marzo, con la bozza di decreto che istituisce la zona rossa in tutta la Lombardia, la guerra si manifesta in tutta la sua crudeltà. Ma da almeno dieci giorni si alzavano dalle terre bergamasche grida d’aiuto. Pensavo e ripensavo all’utilità di un ospedale da campo o comunque di una struttura di alleggerimento per gli ospedali bergamaschi e cominciai a sondare il terreno con le autorità nazionali e regionali, cercando di sensibilizzare chi in quel momento era assorbito da problemi contingenti, convinto com’ero che sarebbe stata una possibile risposta allo tsunami che si era abbattuto sulle terre bergamasche e lombarde, una diga che consentisse di contenere quella che sembrava la caporetto sanitaria lombarda. Il 19 marzo, non senza difficoltà diplomatiche, tecniche e politiche, viene accolta una prima ipotesi di progetto e con la richiesta formale del Presidente della Regione Lombardia Attilio Fontana al commissario straordinario e capo della Protezione Civile Angelo Borrelli, inizia quello che da tanti era considerato un azzardo e un progetto impossibile, ma non dagli alpini, non dai volontari di Sanità Alpina e di Protezione Civile, non dai bergamaschi. Il giorno seguente però la Regione ferma tutto per mancanza di personale sanitario, ma in poco meno di 24 ore la gente bergamasca, saputo che l’allestimento dell’ospedale degli alpini a Bergamo era stato sospeso, sottoscrive online una petizione popolare nata spontaneamente, raccogliendo 115mila firme.

    La ripartenza vede gli obiettivi modificati da quelli iniziali con il progetto che cambia altre quattro volte in quattro giorni! Gli alpini accolgono i consigli di Emergency che avevano maturato un’esperienza specifica nel contenimento di ebola e grazie al lavoro dei progettisti, l’ing. Baretti e l’arch. Cordoni, modificano il progetto, passando da un ospedale da campo in tensostrutture per malati Covid in via di guarigione ad un vero e proprio ospedale Covid con 142 posti letto di cui 72 di terapia intensiva e 70 di media-bassa intensità. È strutturato e pensato per creare un ambiente dove gli operatori sanitari siano protetti e le possibilità di contaminazione siano ridotte ai minimi termini, dove l’ambiente per i pazienti sia a basso impatto virale, consentendone una guarigione più veloce. Il progetto ha suscitato l’interesse delle autorità nazionali e dell’Oms per implementarlo anche in tutti i Paesi del mondo, grazie alla definizione e compartimentazione di reparti di alta, media e bassa intensità; zone verdi, zone gialle e zone rosse, con aree protette e superfici ampie al fine di creare barriere spaziali.

    Il 24 marzo è il giorno dell’inizio del miracolo con la discesa in campo degli alpini e dell’Ana; attorno alla nostra penna, quasi fosse un magnete, si radunano varie forze, la Confartigianato bergamasca lancia la chiamata ai suoi artigiani e accorrono volontari in massa, tra i quali ci sono oltre agli alpini anche i tifosi dell’Atalanta. Alcuni imprenditori forniscono il supporto economico, poi le autorità comunali, il sindaco, le associazioni, i carabinieri con a capo il loro comandante Storoni, fino ai semplici cittadini danno quella spinta morale ed emotiva che ha permesso di realizzare un vero e proprio ospedale – seppur temporaneo – all’interno della Fiera di Bergamo, in soli 7 giorni e 7 notti, 20mila ore di lavoro, 250-300 artigiani che a fianco di 250-300 alpini lavoravano 24 ore senza sosta.

    Una nota speciale va fatta ai ragazzi dei campi scuola che da dieci anni sono impegnati nell’organizzazione e gestione degli stessi, prima come allievi, poi come prefetti, istruttori e coordinatori. In particolare i ragazzi del nostro campo nazionale di Almenno San Bartolomeo sono arrivati in gruppo per aiutare genitori, zii o nonni che, da volontari della Sanità Alpina e della Protezione Civile, hanno dato da subito il loro contributo. Non nego che le difficoltà affrontate siano state molte, come sempre succede quando ci sono progetti incredibili. La fede, la consapevolezza e la determinazione dei volontari e il supporto morale, le preghiere e le sofferenze di un popolo, ci hanno consentito di non sentire la stanchezza, mai un momento di sconforto, coscienti com’eravamo che la parola sconfitta o stanchezza non facevano parte del nostro vocabolario; mai un tentennamento, tutti uniti in una sorta di delirio mistico senza lasciare nulla al caso, nonostante molti guardassero al nostro progetto da prima considerandolo visionario, poi impossibile, poi difficile, poi possibile. Con il passare delle ore, laddove si vedevano alzare pareti, fiorire strutture e impianti, gli aggettivi negativi sparivano dalla bocca e dalla mente degli scettici, travolti dalla sorpresa e dall’impegno costante e infinito di un ospedale che nasceva per soccorrere i nostri amici, i nostri familiari, i nostri concittadini.

    Questa vicenda ha dato la giusta e meritata visibilità all’Ana per quanto fa da decenni per l’Italia, spesso in silenzio e lontano dai riflettori. Dopo questa tragedia tutti si rendono conto di quanto sia importante avere una struttura come il Corpo Ausiliare Alpino, che l’Ana propose un paio d’anni fa, in tempi non sospetti. Molti riconoscono quanto sia fondamentale in ottica futura poter dotare il nostro Paese di un organismo di volontariato molto strutturato, formato e specializzato, che veda confluire anche i ragazzi (magari quelli che hanno provato i nostri campi scuola) per fare un periodo di volontariato, con una connotazione sia militare che civile, in cui acquisiscono competenze ed esperienze utili per il loro futuro, imparando e vivendo i valori alpini che ho riconosciuto in modo indelebile durante i giorni del miracolo bergamasco.

    Ricordiamo anche che, mentre costruivamo il nuovo ospedale a Bergamo, i volontari della Protezione Civile Ana hanno allestito il campo base presso la Sezione di Bergamo, fornendo un supporto logistico per i trasporti e tanto altro. Un ulteriore esempio del grande impegno dell’Associazione è quello del Veneto dove negli stessi giorni si realizzava un altro miracolo, sotto il coordinamento di Andrea Da Broi e dei suoi vice, i volontari della Protezione Civile del 3° Raggruppamento e i volontari della Sanità Alpina ripristinavano e riattivavano in soli sei giorni ben cinque ospedali, dimostrando anche loro che non ci sono per noi limiti. Oltre alle mille attività svolte dalla Protezione Civile in tutte le Regioni, le Provincie e i Comuni dove sono stati chiamati ad operare con la supervisione generale del Coordinatore nazionale Gianni Gontero e il supporto e sostegno di tutti i Presidenti di Sezione.

    Le divisioni o le gelosie tipiche dell’essere umano, così vive nella società e purtroppo anche nella nostra Associazione prima della pandemia Covid-19, possono essere superate e cancellate. La meritocrazia può e deve tornare ad essere uno dei parametri di riferimento della società che dovremo ricostruire dopo la fine di questa tragedia che lascerà tante macerie; molto avremo da costruire e sarà possibile se sapremo orientarci anche verso l’onestà, l’amor patrio, il senso del dovere e di responsabilità, l’altruismo e la generosità… La sfida sarà consolidare e rafforzare la nostra struttura morale attraverso l’esperienza della vita e la fatica vissuta in montagna che ti fortifica costringendoti alla fratellanza, al lavoro di squadra e aiutandoci a vicenda. Noi alpini onoriamo le nostre tradizioni, il passato e i valori dei nostri padri, ma ricordiamoci sempre che dobbiamo guardare avanti, ai giovani.

    Gioca un ruolo importante l’abbattimento delle barriere generazionali, come per i ragazzi del campo scuola di Almenno San Bartolomeo che si sono ritrovati a 18-20 anni a lavorare a fianco dei genitori e dei nonni. Hanno dato dimostrazione di quanto, se adeguatamente motivati e considerati, sia importante il loro contributo, al pari di quello degli adulti, insegnando anche un po’ di umiltà a chi, più grande, qualche volta non voleva fare qualcosa o era seccato da situazioni insignificanti. I giovani, sempre disponibili nonostante li si creda deboli e poco strutturati caratterialmente, hanno dimostrato che gli anni nei campi scuola alpini e la vita nel gruppo possono essere un’alternativa all’egoismo e all’egocentrismo che la nostra società pre-covid ci ha impartito come unica strada.

    Sergio Rizzini