Il significato della divisa

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    Chi le scrive è la moglie di un alpino, che talvolta, trovandosi tra le mani la rivista dell’Ana, ne legge qualche pagina. Vorrei condividere con lei alcune mie riflessioni in merito al suo editoriale apparso nel numero di maggio. Mi sembra di aver individuato il punto centrale del suo articolo nel concetto del valore della divisa: il fatto che Figliuolo sia un alpino riempie di orgoglio tutto il Corpo degli alpini e dà ragione a chi sostiene l’importanza della divisa. E allora mi chiedo: e io che una divisa non l’ho mai indossata? Io che per quarant’anni ho svolto il mio lavoro di insegnante “con disciplina ed onore”, come dice la Costituzione della nostra Repubblica all’art. 54, e ho sempre ho avuto dai miei alunni rispetto ed affetto, comunque fossi vestita? Io che prima di tutto ho cercato di dare loro le basi per il loro futuro ruolo di cittadini? Il mio lavoro sarebbe stato forse valorizzato dall’indossare una divisa? La risposta per me è una sola: no. L’appartenere ad un’associazione che si riconosca da un abito, un colore, un distintivo sicuramente dà sicurezza, crea spirito di solidarietà, ma potrebbe anche innescare dinamiche negative. Su una cosa sono d’accordo con lei: per i giovani di oggi sarebbe molto utile svolgere un periodo di servizio per la nazione. Non penso a un servizio militare, ma a un periodo di formazione che rinsaldasse in loro quei valori fondamentali stabiliti dalla Costituzione: impegno, solidarietà, senso di responsabilità e rispetto, valori che oggi sono purtroppo spesso dimenticati, con conseguenze deleterie per tutti. Ma un’altra sua riflessione mi trova totalmente in disaccordo e devo dire che mi ha anche profondamente offesa: “…credo, scomodando Jung, che si tratti del rifiuto di quella parte inconsapevole che qualcuno si porta dentro e che rifiuta contestandola negli altri: piccoli e potenziali dittatori dell’animo, pronti a vedere ovunque dittatori nascosti in qualche divisa”. Non ho bisogno di andare dallo psicanalista per sapere che non sono un piccolo e potenziale dittatore, e che anzi per me il valore più importante è senza dubbio la libertà. Una libertà che si deve basare sui valori fondamentali della società e che deve sempre essere sostenuta dallo spirito critico. Ed è proprio questo spirito critico che mi permette di affermare che le divise non mi piacciono, ma che apprezzo di cuore il lavoro di Francesco Figliuolo, sia o non sia un generale.

    Daniela Negro

    Gentile signora, grazie del suo scritto, anche per il garbo con cui esprime le sue opinioni divergenti. Mi spiace se non sono riuscito a far passare quello che volevo realmente dire. Che non era l’apologia delle divise in quanto divise, nel qual caso avrebbe ragione lei nel dire che si può essere grandi anche senza di esse. Ciò che volevo dire erano due, tre cosette molto semplici. La prima è il valore della persona del generale Figliuolo, che non dipende né dall’uniforme, né dal grado. Il suo valore è a prescindere ed è riconosciuto da tempo. Del resto, gli alti compiti di responsabilità cui è stato chiamato in diversi momenti non sono attribuibili alla divisa ma alle qualità umane ed intellettuali della persona. In secondo luogo volevo esprimere l’orgoglio e la riconoscenza per un uomo con la divisa da alpino, che ancora una volta fa onore al Corpo degli alpini e alle loro migliori tradizioni. Infine volevo precisare a quanti trovano da ridire sul fatto che assolva il nuovo incarico, indossando l’uniforme, che la sua è coerenza con la condizione di militare. Lui non è commissario nonostante sia un generale alpino, ma in quanto militare è stato chiamato a fare il commissario. Infine mi conceda la libertà di citare Jung, senza che lei personalizzi la citazione. È vero che la libertà è un principio sovrano, ma l’acrimonia faziosa di certi giudizi non ha nulla a spartire con la libertà. Attinge spesso all’inconscio, come ci dicono gli esperti.