Il razzo dei Mascabroni

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    Aprile 1916, gli alpini del capitano Giovanni Sala, noti come i “Mascabroni”, compiendo un’impresa straordinaria, si proiettano dall’alto e conquistano il Passo della Sentinella, finestra sulla Val Padola (Comelico, Belluno), allora Regno d’Italia e, allo stesso tempo, balcone sulla vallata di Sexten Tirolo (Sesto, Bolzano), allora impero austroungarico.

    L’episodio storico riaffiora alla mente quando, durante un’escursione estiva d’alta quota, viene rinvenuto un rarissimo reperto della Grande Guerra, una bomba illuminante Torretta italiana, intatta, con il suo paracadute in tessuto bianco, macchiato dal tempo, con tutte le corde in spago incluse. Per più di cento anni è stata gelosamente custodita dalla montagna che ha conservato anche il suo tappo in legno e i due porta bengala vuoti. È inerme poiché l’esplosivo è defluito durante i tanti anni trascorsi sotto le intemperie.

    Ma cos’era e a cosa serviva? La bomba illuminante Torretta ha la forma di un piccolo razzo, 15 cm in tutto, oltre ai 5,5 cm del tappo in legno, cilindrico. L’involucro in metallo del diametro di 6,5 cm, conteneva due bengala in contenitori di forma mezzo-cilindrica, caricati di norma a magnesio. La bomba veniva lanciata con un lanciabombe (una sorta di mortaio primitivo), arrivando ad un centinaio di metri d’altezza. L’esplosione della piccola carica avveniva in un paio di secondi con la contestuale espulsione del paracadute e dei bengala che scendevano lentamente e illuminavano a giorno l’area sottostante per lunghi secondi.

    L’ideale per intercettare il nemico in momenti di scarsa visibilità, come nel caso della presa del Passo della Sentinella. La sua conquista fu un’azione eccezionale, preceduta da un lungo calvario per gli italiani. Nonostante i tre attacchi suicidi a cui furono costretti nel 1915, fanteria e alpini, il Passo era ancora saldamente in mano agli austroungarici che controllavano ogni movimento di truppe su tutta la Val Padola. Bisognava conquistarlo, ma se dal vallone non si era riusciti, rimaneva solo una strada: il cielo! L’attacco fu condotto, oltre al capitano Giovanni Sala e da Italo Lunelli, irredento trentino, arruolato nell’esercito con il nome di Raffaele Da Basso, dai sottotenenti Leida e Martini e da due gruppi di alpini straordinari guidati dai sottotenenti Mario Da Poi ed Enrico Jannetta.

    Erano stati voluti dallo stesso Sala e passarono alla storia grazie alla diretta testimonianza lasciata dal capitano: “I soldati che componevano le due squadre furono da me denominati ‘i Mascabroni’, un nome dato a quei soldati che durante lo svolgimento della difficile impresa si dimostrarono i più arditi, i più tenaci nell’affrontare le difficoltà, pieni di fede nel successo, un po’ brontoloni, gente tutta cuore e tutta sostanza; poca forma, che molto spesso è ipocrisia. Gli alpini, poi, sono brontoloni di natura, non per indisciplina; bisogna conoscerli a fondo per poterli giudicare…”.

    Dal 30 gennaio ai primi di aprile del 1916, gli alpini, all’insaputa degli austriaci, occuparono tutta la cresta sommitale da Cima Undici fino alla forcella Dal Canton, sovrastante il Passo della Sentinella. Per tutto l’inverno, tonnellate e tonnellate di attrezzature di ogni specie (legname, corde, viveri, vestiario, combustibili, armamenti e munizioni) vennero trasportate, a soma di mulo, fino a Forcella Giralba e da lì, a spalla, confluendo alle posizioni approntate sulle forcelle e sulle cime, in caverne, baracche e tane nella neve.

    Un lavoro lungo e faticoso, compiuto senza tregua nelle rigide notti invernali, non di rado, sotto fitte nevicate o nella nebbia, in modo da non farsi scoprire dagli austriaci. Il terreno in cui si mossero gli alpini fu tra i più difficili: dove non c’era la neve erano presenti lastroni di ghiaccio a ricoprire la roccia; le slavine, vere e proprie valanghe, si distaccavano facilmente dall’alto col pericolo costante di travolgere uomini e materiali. Ad una, ad una, le forcelle furono raggiunte e attrezzate, in gran parte di notte, per sfuggire alle vedette austriache. Furono costruite baracche, attrezzati percorsi con scale e corde, furono fatti affluire materiali, armi, uomini, tutto tra la neve e il ghiaccio e quasi interamente a spalle d’uomo, a 3.000 metri di quota.

    Vennero stese le linee telefoniche e installata una stazione eliografica, non solo, nei primi giorni di aprile, gli artiglieri del gruppo Belluno, trasportarono un pezzo da 65/17 nei pressi di Cima Undici, alla quota di 3.045 metri: “Divenne il cannone che spara dalle stelle”. A metà aprile tutto era pronto per l’attacco: nella notte del 16 aprile gli uomini di Lunelli dal Sasso Fuoco s’inerpicarono, silenziosi e mimetizzati, sul ripido nevaio che sale verso il pianoro del Dito; sorprendendo i difensori ed impossessandosi della posizione e raggiunti, poi, dalla squadra del sottotenente Leida. Gli austriaci, sul Passo della Sentinella, si trovarono isolati e chiusi in una morsa; con l’artiglieria che dal Creston Popera tirava sulla Croda Rossa e sul Passo; aprì il fuoco anche la mitragliatrice manovrata dal sottotenente Passerini sparando dalla forcella della Tenda.

    Il lanciabombe e la mitragliatrice di forcella Da Col inchiodarono i rinforzi che stavano cercando di risalire dal fondo di Val Fiscalina; contro di loro aprì il fuoco anche il plotone di Lunelli dal pianoro del Dito. I “Mascabroni” di De Poi si lanciarono all’attacco scivolando sulla neve; partirono anche quelli di Jannetta; dal Vallon Popera scattò, frontalmente, il plotone di Martini arrivando per primo sul Passo. I sedici austriaci che difendevano la postazione furono sopraffatti; i sette al riparo nella caverna furono inchiodati, lì, dalle raffiche incrociate delle mitragliatrici e dagli uomini di Lunelli inerpicati sul pianoro del Dito; un graduato austroungarico rimase ucciso, gli altri riuscirono a fuggire. Alle 13:45 del 16 aprile 1916 il Passo della Sentinella è in mano agli italiani.

    Tiziano Vanin

    Chi volesse vedere da vicino l’illuminante Torretta può farlo al Museo nazionale militare delle Truppe Alpine a Trento www.museonazionalealpini.it