Il piastrino ritrovato

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    DA ROSSOSCH A GENOVA – Lo scorso autunno l’allora vice Presidente Ana Mauro Buttigliero comunicava al Presidente della Sezione di Genova Stefano Pansini che era stato ritrovato in Russia il piastrino del ten. Italo d’Eramo, una delle 13 Medaglie d’Oro al Valor Militare che onorano il vessillo della Sezione genovese. L’alpino professor Massimo Eccli, docente d’italiano alla biblioteca Lenin di Mosca, ne aveva ottenuto la donazione da un privato residente nella zona di Rossosch: impossibile purtroppo risalire al luogo e alle circostanze del ritrovamento. Eccli lo affidava ad un suo conoscente italiano in procinto di rientrare in Patria, simpatizzante del Gruppo di Solbiate Olona (Varese), al quale consegnava il prezioso oggetto. Il 4 maggio il Presidente Pansini era a Solbiate dove, nel corso di una cerimonia nella Sala consiliare del Municipio, alla presenza del sindaco alpino e di una decina di alpini del Gruppo locale riceveva il piastrino che intraprendeva così il suo ultimo viaggio alla volta di Genova. Citando Mario Rigoni Stern, a 78 anni dalla sua partenza Italo d’Eramo tornava “a baita”. Lo scorso 16 maggio a Chiavari, nell’ambito della cerimonia per il centenario della Sezione di Genova, il Presidente nazionale Sebastiano Favero e quello sezionale Stefano Pansini hanno consegnato alla signora Maria Pia d’Eramo il piastrino del padre.

    LE RICERCHE DEI FAMILIARI – Ero stato incaricato di cercare eventuali eredi del Caduto, compito arduo in quanto il cognome d’Eramo non è ligure, né figura nell’elenco telefonico di Genova. Ritenevo che un percorso praticabile fosse una visita al Cimitero Monumentale di Staglieno dove tutti gli anni la nostra Sezione fa celebrare una Messa in suffragio degli alpini caduti, deponendo delle corone sulle tombe delle Medaglie d’Oro alpine, tra le quali quella della famiglia d’Eramo. Sulle lapidi, oltre al ricordo di Italo, sono incisi anche altri cognomi, uno dei quali mi ricordava quello di un amico di gioventù che confermava il legame di parentela e mi metteva in contatto con la signora Maria Pia d’Eramo Costa, figlia della Medaglia d’Oro. Dopo il primo prevedibile momento di stupore e commozione, la signora confidava, emozionatissima, i suoi scarni ricordi di gioventù – aveva solo tre anni alla partenza del padre per la Russia, di lui non aveva memoria – che si limitavano alla partecipazione fin da piccola a diverse cerimonie con il fratello maggiore Leopoldo (deceduto da anni), al fianco della Mamma Edith Cristoffanini d’Eramo, la quale portava sempre austeramente una medaglia appuntata sull’abito. Con grande sincerità mi confidava che allora, per la sua giovanissima età, non comprendeva quelle cerimonie, per lei così noiose, tanto che più di una volta la mamma, che sempre visse nel ricordo del marito Italo, l’aveva rimproverata. Cresciuta, avrebbe poi capito e condiviso il dolore della madre.

    LA VITA DI ITALO D’ERAMO – Italo d’Eramo era nato il 22 ottobre 1906 a Lamìa, in Grecia, dove il padre risiedeva per motivi di lavoro in qualità di titolare di un’importante azienda costruttrice di vie di comunicazione, ditta già affermatasi in quel Paese per aver partecipato a fine Ottocento allo scavo del famoso Canale di Corinto. La famiglia, di origine abruzzese, in particolare di Rocca di Mezzo – Comune in cui è presente un gruppo alpini dedicato alla Medaglia d’Oro – si sarebbe poi trasferita anche a Genova al seguito dell’azienda, impegnata nella costruzione dell’autostrada Genova-Serravalle Scrivia, decidendo di stabilirsi definitivamente in quella città. I cinque fratelli d’Eramo nacquero quasi tutti all’estero e in luoghi differenti, in corrispondenza delle sedi dei lavori che acquisiva l’azienda. Italo fu quindi iscritto al Distretto Militare di Genova.

    NEGLI ALPINI – Nel 1926, conseguito il diploma di geometra, venne chiamato alle armi nel Corpo degli alpini come allievo sottufficiale; nel 1927, con il grado di sergente, venne inquadrato nel 2º Reggimento di stanza a Cuneo. Congedato nel 1928, fu assunto dall’Ufficio Tecnico del Comune di Genova. Si sposò con Edith Cristoffanini e divenne padre di Leopoldo e Maria Pia. Nel 1941 venne richiamato a domanda con il grado di tenente e assegnato al battaglione Pieve di Teco. Il 25 luglio 1942 partì per la Russia con l’incarico di ufficiale informatore del Comando del 1º reggimento alpini. Al termine della marcia verso il fiume Don, il reparto si stabilì in località Topilo, poche isbe sovrastanti il fiume, ad una quarantina di chilometri ad est di Rossosch, sede del Comando del Corpo d’Armata Alpino. L’ultima foto che inviò a casa, il 2 gennaio 1943, lo ritrae proprio in quel luogo (lo sappiamo grazie all’annotazione sul retro) con il comandante del 1º, il genovese col. Manfredi e altri quattro ufficiali: un’immagine toccante perché solo uno su sei si sarebbe salvato e perché tra loro si trovavano ben tre future Medaglie d’Oro alla memoria, più diverse altre d’Argento e Bronzo. Iniziata l’offensiva russa, il 17 gennaio 1943 tutta la Divisione Cuneense ricevette l’ordine di ripiegamento verso Waluiki, la più vicina stazione ferroviaria non ancora in mano russa; da quel momento il destino di Italo d’Eramo seguì quello drammatico del suo reparto. Raggiunto il 20 gennaio il villaggio di Nowo Postojalowka, che fu presto circondato dal nemico, partecipò alla disperata battaglia contro l’accerchiamento, passata alla storia come l’olocausto della Divisione Cuneense. Nella furia del combattimento contro i carri armati russi, pur non essendo comandante di alcun reparto, assunse d’iniziativa il compito di guidare nella lotta un gruppo di alpini sbandati e senza più ufficiali. Rimasto ferito gravemente al petto, rifiutò di abbandonare i compagni; adagiato su una slitta, partecipò così alla ritirata dei giorni successivi. Attardato da questa battaglia, quello che rimaneva della Cuneense con i resti della Julia e della Vicenza non riuscì a captare il nuovo ordine di ripiegamento diramato che segnalava di abbandonare l’originario itinerario in favore di Nikolajewka, perché a Waluiki era già arrivato il nemico. E così all’alba del 28 gennaio quegli sfiniti alpini si trovarono a dover combattere l’ultima battaglia nei pressi di Waluiki, aggrediti da un nemico soverchiante: come quasi tutti i suoi compagni, anche Italo d’Eramo rifiutò la resa e, pur in gravi condizioni, imbracciata la sua arma iniziò a sparare, fino alla fine. Quanti furono catturati avrebbero dovuto subire la tristemente famosa “marcia del davai”, così definita e descritta da Nuto Revelli, andando incontro in altissima percentuale alla morte, o durante il trasferimento o nei campi di concentramento. Alla fine della guerra, anche alla famiglia fu recapitata la comunicazione ufficiale che dichiarava il loro congiunto caduto e disperso. Il 24 aprile 1949 a Mondovì, nel corso di una solenne cerimonia, il Presidente della Repubblica Luigi Einaudi gli conferì alla memoria la Medaglia d’Oro al V.M. che venne consegnata alla moglie.

    Giancarlo Militello

    LA MOTIVAZIONE DELLA MEDAGLIA D’ORO A ITALO D’ERAMO – “Ufficiale informatore di reggimento alpino, durante sanguinoso combattimento sostenuto con spiccato ardimento, caduti la maggior parte dei suoi uomini, assumeva d’iniziativa il comando di un plotone di formazione ed accorreva nel folto della mischia contrassaltando valorosamente il nemico. Ferito al torace, rifiutava di abbandonare i suoi alpini e fattosi adagiare su una slitta così partecipava ai successivi aspri combattimenti sostenuti dal reggimento durante dodici giorni di ripiegamento per tentare di sfuggire all’accerchiamento nemico. Attaccato il suo plotone da forze preponderanti, rifiutava sdegnosamente di arrendersi e, imbracciato il suo fucile automatico, continuava a sparare fino a che cadeva crivellato di colpi. Luminoso esempio di stoica fermezza”.
    Fronte russo, 17-28 gennaio 1943