Il percorso della memoria

    0
    81

    C’è sempre il vento a Basovizza. Fischia su un paesaggio brullo, inospitale, in cui persino gli arbusti che faticano a trasformarsi in alberi sembrano cippi contorti che la natura ha voluto far crescere per tenere viva la memoria di un dolore mai sopito, ma troppo a lungo tenuto soffocato. Sono moltissime le persone giunte vicino a Trieste attorno al memoriale e al monumento della foiba il 10 febbraio in occasione della Giornata del ricordo delle vittime della follia del regime titino e dell’esodo dei giuliano-dalmati, italiani costretti con la forza, anche a guerra finita, ad abbandonare la loro terra.

    Ci sono le autorità, in prima fila, coi gonfaloni delle città di Trieste e Muggia e della Regione Friuli Venezia Giulia, ma, soprattutto, assieme ad altre associazioni d’arma, ci sono gli alpini, tanti alpini, parte preponderante dei partecipanti alla cerimonia: il Labaro col presidente Sebastiano Favero e il Consiglio direttivo nazionale, decine i vessilli e i gagliardetti e centinaia le penne nere. Si, perché la nostra Associazione ha nel suo Dna la missione del fare memoria e qui, finalmente, dopo anni di oblio neppure troppo silenziosamente scaturito dalla connivenza politica, lo fa, assieme a tanti, nella pienezza della verità storica, restituita alla dignità pubblica con la legge del 2004 che questa Giornata ha istituito.

    Una Giornata che pochi anni fa ha visto il massimo riconoscimento nel gesto del nostro Capo dello Stato, Sergio Mattarella, che ha reso omaggio alle vittime proprio a Basovizza, capo chino e mano nella mano col presidente sloveno Borut Pahor. Ma il percorso della memoria è ancora lungo. «Il mio impegno – ha detto il sindaco di Trieste, Roberto Dipiazza – è di poter accompagnare qui al sacrario un rappresentante della Repubblica di Croazia con cui abbiamo già avviato un fruttuoso dialogo».

    Il primo cittadino ha ricordato, rivolgendosi soprattutto ai tanti studenti intervenuti a Basovizza, che il processo della verità è ormai inarrestabile e nell’agosto del 2020 ha portato anche «alla scoperta della cosiddetta foiba dei ragazzini, con centinaia di resti di giovani vittime. Il presidente della Commissione governativa slovena afferma che si tratta di almeno centomila tra italiani, sloveni, croati e serbi eliminati in nome di una pulizia multietnica e politica». Dipiazza è tornato anche a chiedere con forza che l’Italia revochi il titolo di cavaliere di gran croce della Repubblica italiana che venne concesso al maresciallo Tito, proprio per ridare dignità storica alla verità.

    Anche Paolo Sardos Albertini, presidente del comitato per i martiri delle foibe e della Lega nazionale, ripercorre con dolente precisione il cammino del dolore e fornisce al presidente della Regione Friuli Venezia Giulia, Massimiliano Fedriga l’aggancio per sottolineare che «Non bisogna dare nulla per scontato, perché negli ultimi anni i rigurgiti negazionisti sulle foibe si sono placati ma non spenti. Il percorso di pace costruito in anni di dialogo e rispetto reciproco tra i popoli di queste terre è fondato proprio sull’abbattimento di quel buio e di quella omertà, ma c’è anche chi vorrebbe vederci fare dei passi indietro.

    Il regime comunista titino – ha concluso – ha perseguitato italiani, sloveni e croati, serve quindi una memoria condivisa per costruire un futuro di pace che deve unire tutti i popoli che hanno sofferto le tragedie del confine orientale». Le parole della preghiera per gli infoibati, scritta dall’allora arcivescovo di Trieste mons. Antonio Santin, accompagnano, assieme alla benedizione dell’attuale presule, mons. Giampaolo Crepaldi, la corona che le autorità depongono davanti al sacrario.

    Il trombettiere di Piemonte Cavalleria, che schiera un picchetto d’onore, intona il silenzio, che si propaga tra le rocce carsiche: l’ultima nota della tromba è seguita da interminabili secondi in cui l’unico rumore torna quello del vento, a ricordare che la natura è incolpevole quanto severo testimone delle vicende umane.

    Massimo Cortesi