Il cronista (obiettore di coscienza): Grazie, alpini

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    DI GIANMARIA PITTON

    Non credevo che mi sarei commosso, guardando la grande parata degli alpini nel secondo giorno dell’adunata di Asiago. Da non alpino, e per di più obiettore di coscienza, relegavo alcune espressioni legate al mondo delle penne nere come semplice retorica, comprensibile sì, condivisibile molto meno.

    Ma quando le prime file hanno cominciato a percorre viale della Vittoria, davanti alla tribuna, qualcosa è cambiato. D’un tratto hanno cominciato a trovare un senso, come pezzi di un grande puzzle, i racconti di Rigoni Stern e di Bedeschi, il cappello con la penna nera che mio padre conserva con affetto, il vino offertomi in una gamella in mezzo a una folla incredibile, il passaggio che mi era stato dato su uno dei tanti, improbabili mezzi di locomozione.

    Tutto fa parte di un’unica storia, i cori improvvisati, le battute salaci, il Testamento del capitano , gli alpini stesi sulle aiole del centro di Asiago, vinti della stanchezza, le migliaia di chilometri che si sono sobbarcati quelli arrivati dall’Australia, dal Sudafrica, dal Canada solo per esserci. Ecco, gli alpini ci sono. A dispetto delle difficoltà logistiche, degli errori, della facile ironia, delle critiche.

    A volte giustificate, perché la generosità nel porsi obiettivi ardui, come organizzare un’adunata nazionale sull’Altopiano, non è esente da critiche. Ma ingenerose, se riducono tutto a una occasione per farsi una bevuta di massa, perché dimenticano che gli alpini sono pronti ad accorrere nelle situazioni di emergenza vera, sono pronti a morire, e non è retorica. L’applauso più forte, le lacrime più sincere, durante la parata sono andati a Manuel e Luca, morti lontano da casa, morti da alpini.

    All’adunata gli estremi si toccano, diventa coerente la convivenza dell’eroismo e della goliardia. I ragazzi si fermavano ad ascoltare, con un’attenzione che non era solo cortesia, i racconti delle barbe bianche: dove altro accade, oggi, che i giovani ascoltino davvero gli anziani?E chiedevano particolari per saperne di più, per impadronirsi d’una tradizione in cui si riconoscono in pieno e che vogliono proseguire.

    Credevo che sarei andato ad Asiago da semplice osservatore, con il solo compito di descrivere l’adunata per il quotidiano per cui lavoro. È stata invece un’esperienza coinvolgente, unica, emozionante e, sì, anche commovente. Non scorderò il nodo alla gola che mi ha preso nel vedere veci e bocia sfilare insieme, testimoni di una solidarietà ormai rara.

    Grazie, alpini.