Il Bosco ci parla

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    Come sempre un evento molto partecipato il 52º raduno al Bosco delle Penne Mozze, nella suggestione della Valle di San Daniele, che ha visto domenica 27 agosto convenire diverse centinaia di alpini, 180 gagliardetti, 13 vessilli da varie regioni italiane e da Sidney, 13 delegazioni di varie associazioni d’arma, decine di sindaci guidati dalla prima cittadina di Cison di Valmarino, Cristina Da Soller. Presentate da Marco Piovesan, neopresidente del Comitato “Bosco Penne Mozze”, a nome delle quattro Sezioni trevigiane Conegliano, Treviso, Valdobbiadene, Vittorio Veneto e dell’Associazione Penne Mozze, anche molte autorità civili e militari.

    Tra queste il viceprefetto trevigiano Antonello Roccoberton, il consigliere regionale Alberto Villanova, delegato del presidente della Regione Veneto, i parlamentari Gianangelo Bof, Marchetto e Aliprandi, l’europarlamentare Gianantonio Da Re. Nel suo saluto il vicepresidente nazionale Carlo Balestra, in rappresentanza del presidente Favero e del Consiglio nazionale, ha ringraziato la numerosa presenza di alpini: «Ancora una volta portate l’esempio di valori, tradizioni, cultura e storia della nostra Associazione, nel ricordare i morti aiutando i vivi. Tranquillizzo tutti, con la costituzione di 12 Campi scuola e la partecipazione di ragazzi dai 16 ai 25 anni ai quali vengono trasmessi i nostri valori, ‘noi prima dell’io’, riusciamo da dare concretezza al futuro».

    Per il consigliere regionale Alberto Villanova: «La numerosa presenza ha riempito il cuore di tutti, e gli alpini anche in nome dei valori racchiusi nel Bosco, avranno il compito di essere maestri delle nuove generazioni con i principi che oggi vengono continuamente messi in discussione, perché non siano generazioni perdute, e tanti bravi ragazzi stanno crescendo in silenzio come il Bosco. Un testimone che deve essere passato ai giovani». Poi l’intervento ufficiale di mons. Bruno Fasani: con due espressioni del beato don Carlo Gnocchi, utili a tratteggiare lo spirito alpino, don Bruno, già direttore della nostra rivista, ha scosso gli animi di tutti.

    La prima: «Gli alpini non dicono nulla. Non perché non abbiano nulla da dire, ma perché nel loro silenzio c’è responsabilità, assenza di polemica, senso del dovere. Dobbiamo tornare ad essere uomini che non dicono nulla in questa società del chiasso. Perché sappiamo ascoltare gli altri, ciò che accade intorno, mettendo fine al clima di polemica, quella comunicazione con le protesi che crede di parlare, ma altro non è che esercizio narcisistico di solitudine. Gli alpini sono ribelli per amore, ha continuato don Bruno tra gli applausi, questo è il tempo per amare il domani, o meglio i figli che popoleranno il domani. Tutti siamo coinvolti, insieme: alpini, autorità militari e politiche. E la nostra preoccupazione non può essere solo quella di contarci come alpini, ma dobbiamo chiederci cosa vogliamo consegnare alle nuove generazioni.

    Un generale, un alpino, di nome Figliuolo ancora sta dimostrando cosa vuol dire essere a servizio, con umiltà e dedizione. A noi scegliere come essere ribelli per amore». Questo e molto altro ha sciorinato l’oratore ufficiale del raduno, alla sua prima uscita ufficiale con gli alpini, sul senso religioso, di Patria e di famiglia, da sempre caro alle penne nere. «Se sono qui oggi – ha chiosato – è perché ho un sentire particolare verso questo luogo. Dalla prima volta che l’ho visto ho avuto l’impressione di trovarmi in una chiesa a cielo aperto o, se volete, un tabernacolo, e mi sono chiesto più volte il perché.

    Qui non ci sono morti, ma simboli che parlano: i cippi sono la memoria piena di gratitudine di chi vive in questo mondo in cui Dio è diventato la libertà soggettiva, il fai da te morale; la Patria il mercato globale; la famiglia, una sorta di sessualità in libera uscita, con gli esiti che la cronaca ci consegna ogni giorno. Ma voglio dire che l’idea di Patria sopravvive nonostante tutto e ritorna in quei movimenti che altro non sono che la tutela delle economie locali e nazionali contro la logica spesso devastante della globalizzazione.

    Non sono forse queste cose un inno a quel patrimonio di Patria che ci è pervenuto dalla storia e che rischia di essere cancellato dalla crisi della memoria? La difesa del territorio, dei mercati non è sovranismo o populismo, ma il sopravvivere di un concetto di Patria a cui apparteniamo. Bisogna quindi stare attenti poi all’intolleranza e all’altra faccia della medaglia, il buonismo». La Messa accompagnata dal Coro Ana di Vittorio Veneto è stata poi concelebrata da don Paolo Magoga della diocesi di Treviso e dallo stesso don Fasani.

    Fulvio Fioretti