I nostri canti

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    Sono il magg. (c.a.) Antonio Mariani, classe 1941, direttore del coro Malga Roma della sezione di Roma dell’A.N.A. Agganciandomi ad una serie di interventi raccolti da L’Alpino, vorrei esprimere il nostro punto di vista sull’argomento canti di montagna e cori dell’A.N.A. che, rammento tautologicamente, è una Associazione d’Arma. Credo siamo tutti consapevoli del fatto che il canto alpino, così come tradizionalmente si intende, è un “genere” musicale ormai non più praticato nella naja (e non solo).

    Personalmente ne ho avuto varie dimostrazioni, fra l’altro interrogando in proposito, ogni qual volta ne ho avuto occasione, i militari che mi capitava di incontrare. Dirò di più. All’inizio di questo secolo, nel 2002, ho avuto il piacere di formare e dirigere, invitato dall’allora comandante della Scuola di Fanteria di Cesano, il coro degli allievi ufficiali alpini di uno degli ultimi corsi (approfitto, se questo mio intervento sarà pubblicato, per salutarli affettuosamente da queste righe: so che in grandissima parte sono iscritti all’A.N.A. e ogni tanto ne incontro qualcuno alle adunate che viene a salutarmi ai concerti del mio Coro).

    In quella occasione ebbi una certa difficoltà a trovare un paio di brani che fossero conosciuti un po’ da tutti (la scelta poi cadde su “Sul cappello” e” Il testamento del Capitano”). Negli ultimi corsi era invalso l’uso di tramandarsi la canzoncina, che tutti avevano imparato, “È arrivato l’Ambasciatore”, forse perché suggestionati dal seguito “con la piuma sul cappello”. Stanti queste premesse, e con la consapevolezza, appunto, che il nostro è un coro dell’A.N.A. (Associazione d’Arma), con i miei coristi convenimmo, statutariamente, di inserire nel repertorio esclusivamente i canti “storicamente attestati”, quelli che i nostri militari erano soliti cantare nelle varie occasioni, quando il canto d’insieme, anche e soprattutto nella naja, era espressione usuale e spontanea. E di eseguirli, sia dal punto di vista armonico che interpretativo, cercando di discostarci il meno possibile dalle esecuzioni originali.

    Questa scelta con il chiaro e dichiarato scopo di contribuire per quanto possibile, ad evitare di far cadere nell’oblio i brani e il modo autentico (in senso storico) di interpretarli. E in effetti, allorquando cantiamo La tradotta, o Sul ponte di Perati, o Tranta Sold, ho sempre l’impressione di rivivere, e sempre con rinnovata emozione, momenti dolorosi o spensierati di storia comune. I nostri padri hanno cantato questi brani in momenti drammatici o lievi, non trascurando peraltro anche altre melodie, sacre o profane, appartenenti alla nostra cultura, come dice correttamente il magistrale maestro De Marzi citando Rigoni Stern “Mira il tuo popolo…” e/o diceva il presidente Caprioli ”Cantavamo Rosamunda”, ma sempre con spontanea partecipazione. Lo stesso non potrei dire se eseguissimo una delle composizioni contemporanee, sia pure, anche se non sempre, eccellenti sul piano musicale.

    Queste musiche, mi sia passato l’esempio, mi danno l’impressione di “zombie”, ancorché modellate con fattezze particolarmente seducenti. Ecco perché riterrei opportuno che i cori dell’A.N.A., che, ripeto ancora tautologicamente, sono complessi che rappresentano una Associazione d’Arma, si dedicassero quanto meno prevalentemente, ma vorrei dire esclusivamente, a ciò che rappresenta la nostra cultura storico/militare/musicale. Io credo che sia proprio la consapevolezza che queste musiche e questi versi attualmente siano frequentati solo sporadicamente che debba indurci a praticarli con particolare assiduità ed attenzione affinché restino vivi nella nostra memoria e in quella collettiva. Gli altri cori, quelli non appartenenti all’Associazione Nazionale Alpini, che facciano come meglio credono.

    Maggiore Antonio Mariani – Roma

    È abbastanza comprensibile che allontanandoci dai tempi delle origini la memoria scolori un po’, tanto più nella nuova cultura digitale, che vive solo sul presente e di presente. Spetta però a chi ha sensibilità custodire un patrimonio di memorie. Il giorno che dovessimo perderle, saremmo tutti più poveri ed ignoranti.