Gli uomini che fecero l’impresa

    0
    121

    “Ho l’onore di comunicarle che da oggi 5 maggio 1973, alle ore 12:39 locali, sulla cima dell’Everest sventola la bandiera italiana – Stop”. Questo l’inizio del messaggio inviato al sottocapo dello Stato Maggiore Esercito dall’alpinista ed esploratore Guido Monzino, ideatore e capo della spedizione spiccatamente militare che aveva portato i nostri soldati sulla vetta dell’Everest a 8.848 metri, vent’anni dopo la prima conquista della cima.

    Un traguardo non indifferente, di cui quest’anno ricorre il cinquantenario. Nel 1972 Monzino aveva chiesto, col beneplacito del Ministero della Difesa, la collaborazione dell’allora Scuola Militare Alpina per organizzare e portare a termine una spedizione alpinistica sull’Everest. Con entusiasmo del comandante della Smalp, gen. Mola, tutto fu strutturato come per una operazione militare molto complessa: creato un apparato logistico, furono scelti ed approntati i materiali e il personale fu concentrato ad Aosta per la selezione, gli accertamenti sanitari, l’addestramento alpinistico ed il necessario affiatamento.

    Oltre agli uomini “di punta” provenienti della Scuola – come il ten. col. Pistono, reponsabile del “Nucleo Scalatori” della spedizione, o gli Istruttori di alpinismo cap. Roberto Stella, mar. Agostino Tamagno, mar. Virginio Epis, serg. magg. Claudio Benedetti – erano presenti ufficiali e sottufficiali delle Truppe Alpine e di altre armi e Forze Armate: carabinieri, aeronautica, marina, guardia di finanza, polizia, oltre a qualificati scienziati civili di supporto con un attrezzatissimo laboratorio scientifico-fisiologico. Sono 63 uomini (di cui 19 alpini) in una spedizione imponente e logisticamente complicatissima, che mobiliterà circa 110 tonnellate di materiali. Il 16 gennaio 1973 i primi due aerei C-130 dell’Aeronautica Militare partono per la base logistica di Lukla, in Nepal, carichi di attrezzature.

    Vi è allestito anche un eliporto per i due elicotteri militari Ab-205 che partecipano alla spedizione, battendo tra l’altro alcuni record aeronautici nel campo del volo in alta quota (uno si schianterà a 6.400 metri, senza però perdite umane). A febbraio i componenti arrivano a Kathmandu e il 23 marzo è preparato il campo base a quota 5.356; il giorno successivo si inizia ad attrezzare l’insidiosa “ice fall”, una parete di ghiaccio con guglie, pinnacoli, crepacci, dalla quale, in una trasferimento alpinisticamente degno di nota, passeranno 81 persone (sherpa compresi) per arrivare al campo 1, a 6.157 metri. Dopo battute d’arresto e riprese, con difficoltà enormi dovute alla quota e con condizioni atmosferiche non ottimali sono allestiti altri campi più alti.

    Il 16 aprile è predisposto il campo 4, ma la quota e il clima peggiorato costringono all’evacuazione di alcuni componenti colti da malori e obbligano gli altri a lunghe stressanti attese. Ai primi di maggio, sul Colle Sud è posto il campo 5 a quasi 8.000 metri e poi l’ultimo, due piccole tende sotto una cresta di ghiaccio, a quota 8.533; da qui il 5 maggio parte la prima delle 7 cordate previste per la conquista della vetta. Dopo aver superato l’ultimo tratto molto tecnico e pericoloso, con anche passaggi di roccia, alle 12:30 gli alpini Mirko Minuzzo e Rinaldo Carrel e gli sherpa Tamang e Tenzing raggiungono la cima della montagna più alta del mondo; il Tricolore vi sventola per la prima volta, e con esso il gagliardetto del Consiglio direttivo dell’Ana.

    Due giorni dopo, una seconda cordata, composta dal mar. Epis, dal serg. magg. Benedetti, dal capitano dei carabinieri Innamorati e dal “Sardar” Gyaltzen, raggiunge a sua volta la cima, concludendo così la grande avventura. Infatti per il cambio repentino del tempo che crea grandi difficoltà anche in discesa, le altre cordate, seppur a malincuore, devono rinunciare. L’impresa, pur non immune da polemiche sull’enorme dispiego di forze e mezzi e su un certo dispotismo di Monzino, fu comunque una straordinaria affermazione che dimostrò la grande capacità di organizzazione e l’alto grado di preparazione alpinistica degli alpini.

    Stefano Rossi