Gli occhi che sanno vedere

    0
    56

    Scene, molto diverse tra loro, mi passano davanti agli occhi con la loro forza provocatrice. Casumaro, provincia di Ferrara, primo giugno 2013. Si inaugura la nuova scuola materna, offerta e messa in piedi dagli alpini. Ci sono loro, le penne nere, compiaciute della loro ultima prova di generosità. Lo hanno fatto perché era una cosa che andava fatta. E tanto basta.

    Ci sono gli amministratori che fanno i loro discorsi da amministratori. Ci sono i bambini, coriandoli di innocente spontaneità intenti nelle loro cose, ma comunque compresi di ciò che sta accadendo. C’è la gente del posto e tanti altri venuti da lontano. C’è anche il vecchio parroco. Il fiato s’è fatto corto, ma sufficiente per dire che gli alpini sono come il vino delle bollicine, di cui gli hanno fatto dono poco prima. Ossia sono pieni di vita. Se ne andrà due giorni dopo, portandosi nel cuore la gioia di aver visto questa scuola e lasciandoci nel cuore il ricordo della sua gioiosa gratitudine.

    Una seconda scena mi passa davanti agli occhi. Questa volta è tutt’altro che gioiosa. Sul lido laziale, muore un’anziana signora russa. Il corpo, coperto da un volgare telo di plastica, rimane sulla battigia tra l’indifferenza delle persone che passano accanto, come se niente fosse. A qualche metro due giovani si esibiscono in effusioni amorose, convinti di saper amare. Un poco più in là, ma solo qualche metro, alcuni giocano convinti di sapersi divertire. Altri ancora passano oltre nella più totale indifferenza, convinti d’essere esperti di umanità…

    Scene diverse, logiche diverse. Un acuto psicologo sostiene che il nostro è il tempo in cui la gente sta perdendo i sensi. Provocazione? Esagerazione? Può darsi. La verità è che non bisogna esagerare, ma è anche vero che non si dice vacca se non c’è un pelo grigio. E il pelo grigio, nell’essenza dei fatti rimane comunque una realtà. I cinque sensi, vedere, toccare, sentire, gustare, odorare, più il sesto che ognuno di noi ha diverso dagli altri, dovrebbero essere il canale che porta dentro di noi l’eco di ciò che accade nel mondo per alimentare la sensibilità e la coscienza. Se questo non accade, il nostro intimo rimane una sorta di Mar Morto dove non entra più acqua viva a risvegliare responsabilità, valutazioni etiche, capacità decisionali…

    L’atrofia dei sensi e la loro anestetizzazione hanno l’effetto drammatico di renderci tutti più insensibili. Il fatto è che si guarda, ma ci si limita a curiosare, si sente, ma senza ascoltare, si tocca ma solo per procurarsi piacere, si gusta, ma da soli senza spartire, si odora, ma evitando accuratamente i cattivi odori. In definitiva siamo diventati una somma algebrica di individui, che camminano vicini, che si toccano, si sfiorano… ma abbiamo dimenticato d’essere un corpo, quello della famiglia umana. E così ci barcameniamo tra due tipologie di persone, la farfalla e l’orso. La prima svolazzante dove trova piacere senza impegnarsi realmente con nessuno e per nessuno, il secondo convinto di non aver bisogno degli altri per affermare la propria identità, trincerato dentro un’arrogante solitudine. Si vive da soli e si muore da soli.

    Se ho voluto associare le due scene è solo per sottolineare quanto diceva il defunto parroco di Casumaro quando parlava degli alpini come gente delle bollicine. Neppure gli alpini sono esenti dai rischi, ma di sicuro hanno ancora occhi per vedere, orecchi per ascoltare e cuore per operare. Senza presunzione ma con la coscienza d’essere ancora sale prezioso dentro a una società troppo spesso insipida.

    Bruno Fasani