Far parlare la storia

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    Mi scrive Matteo Gaifami di Rho (Milano): «Ho ritrovato nell’ultimo numero de L’Alpino l’articolo sulla battaglia dell’Ortigara che mi ha richiamato alla mente i dibattiti che ho avuto modo di seguire in diverse occasioni nel corso delle celebrazioni del centenario della Grande Guerra. È ancora ammissibile che pressoché in tutte le città del Paese ci siano vie o piazze dedicate alla figura del generale Luigi Cadorna? Non sarebbe segno non già di facile revisionismo bensì di acquisita verità storica, dedicare queste stesse strade piuttosto alle “Vittime del generale Cadorna”?

    Mi pare che sarebbe educativo anche nei confronti delle nuove generazioni e che la nostra Associazione si potrebbe a buon titolo fare parte diligente in quest’istanza». Devo ammettere che se avessi dovuto rispondere a questa lettera solo alcuni mesi fa, probabilmente di istinto, avrei sottoscritto e rilanciato. E non solo puntando su Cadorna. Altri nomi sarebbero stati travolti, accomunati dalla stessa condanna all’oblio.

    Oggi mi trovo a rivedere queste posizioni. Il tutto dopo aver assistito a quella lotta iconoclasta scatenatasi all’indomani della morte dell’afroamericano, George Floyd, soffocato dai tacchi del poliziotto che lo aveva fermato a Minneapolis. A finire sotto i colpi dei nuovi “angeli” purificatori tutti i monumenti che evocavano personaggi non coniugabili con il politicamente corretto del momento: da Churchill a Colston, da Cristoforo Colombo a Montanelli… Di questo moralismo storico si era fatto interprete alla Biennale di Venezia del 2019, un artista catalano, il quale aveva riprodotto alcune statue raffiguranti vari personaggi storici, invitando i visitatori a distruggere quelle che non rispondevano alla loro sensibilità. Chi avrebbe potuto salvarsi secondo voi?

    Nessuno, cari lettori, neppure la Madonna di Lepanto, quella che ha fermato l’avanzata dei turchi, o quella degli “invasori” alpini del Don, perché la caratteristica del nostro tempo è che l’individualismo del sentire si è trasformato in moralismo variopinto, per cui nulla va più bene a nessuno. E allora non è difficile vedere, dietro a questa diffusa intolleranza del “tutti contro tutti”, i fantasmi delle rivoluzioni che pensano di cambiare la storia, cancellandone le tracce. La pensava così la Rivoluzione francese, quella comunista di Mao e Pol Pot, quella dell’Isis con le distruzioni di Palmira e dei Budda di Bamiyan… Una damnatio memoriae che ha la pretesa di cancellare il potere del passato con nuove forme di poteri culturali.

    Di conseguenza mi chiedo: quale sarà il giudizio fra qualche anno sul tempo in cui viviamo, sui personaggi che oggi occupano la scena? Cosa diremo fra un secolo delle generazioni di oggi e delle loro stoltezze? Abbattere le statue allo scopo di “punire” oggi chi è vissuto secoli fa è un errore storico e pedagogico. Storico e pedagogico perché il passato è lì con il suo racconto a dirci che ciò che è accaduto è stato il risultato della dialettica sociale di quel tempo.

    La storia, anche con le sue statue e targhe varie, non è solo una questione di date e di nomi, di buoni e cattivi, ma soprattutto di cause e di effetti, per dire al presente che i rischi sono sempre dietro l’angolo. Se la Prima guerra mondiale fu l’effetto di antagonismi nazionalistici, cosa pensare oggi dei toni esasperati di Cina e Stati Uniti, Russia e Turchia, Libia e Corea del Nord? E che dire pensando a chi comandava in guerra snobbando la vita dei soldati, rapportato a certa politica contemporanea, che sembra indifferente alle fatiche dei poveri? E non sto pensando necessariamente all’Italia.

    Ecco perché, caro Matteo, non sono più così sicuro di schierarmi coi “cancellatori”. Vorrei piuttosto che la storia tornassimo a raccontarla anche con le sue ombre, perché diventi maestra. Raccontarla, perché cancellarla sarebbe solo rimuoverla, togliendole la voce.

    Bruno Fasani