Dici Brescia, pensi alpini. E non solo perché la grande provincia lombarda è innervata da ben tre valli (Camonica, Trompia e Sabbia) che risalgono sino alla vetta dell’Adamello: perché le penne nere qui sono filamenti di Dna, non c’è frazione che non abbia un gruppo alpini. Se ne contano 285, nel bresciano (dove i Comuni sono 205), con una forza di oltre ventitremila soci. Ma un territorio così lungo (da sud a nord 170 km) che le penne nere bresciane, per evitare spostamenti all’epoca impegnativi, decisero, dagli albori, di dividerlo fra tre Sezioni (Brescia, Salò e Vallecamonica), tra le quali, peraltro, c’è sempre stata collaborazione, che negli ultimi anni si è molto intensificata.
La primogenitura è ovviamente di Brescia, dove, il 14 novembre del 1920, nel cuore della città, tra quella che oggi è la Traversa del Gambero e il teatro Grande, nacque la Sezione di tutti gli alpini bresciani (poi, per le ragioni dette, nel volgere di tre anni si “generarono” le altre due). La spinta valoriale, sulla scia della Prima guerra mondiale, era la stessa che portò alla costituzione dell’Ana nazionale: non conosciamo tutti i nomi di quanti parteciparono alla fondazione; sappiamo che gli iscritti erano 180 e che per il primo Consiglio votarono in 84. Primo Presidente fu Umberto Faglia, figura di prestigio in città, ma scorrendo gli elenchi di consiglieri, revisori e scrutatori, troviamo nomi assurti a rilevanza nazionale, come, ad esempio padre Giulio Bevilacqua (che due mesi prima aveva pronunciato la travolgente omelia alla prima Adunata in Ortigara) e Luigi Reverberi, allora capitano, il generale trascinatore di Nikolajewka (che dopo la guerra sarà pure Presidente sezionale).
«Avevamo preparato un programma intenso per il Centenario – sottolinea con comprensibile rammarico Gian Battista Turrini, Presidente della Sezione dal 2015 – purtroppo abbiamo dovuto, come tutti, rinunciare per l’emergenza sanitaria». In calendario c’erano eventi di Protezione Civile (un’esercitazione del 2º Raggruppamento lungo il fiume Mella, che, però, si dovrebbe tenere nel 2021), sport (una gara podistica nella città), due mostre (una di artisti bresciani a tema alpino e una storica), spettacoli teatrali, il libro per i cento anni, un numero speciale del giornale sezionale “Ocio a la pèna” e la grande sfilata del 14 novembre. «Abbiamo salvato ovviamente – racconta Turrini – la pubblicazione del libro e del giornale sezionale, mentre affideremo la celebrazione ad una serata in diretta tv sull’emittente bresciana Teletutto e alla realizzazione di un dvd storico».
Oggi la Sezione di Brescia conta su 161 Gruppi con poco più di 12.500 soci: da notare che mentre il numero dei soci è in flessione, negli ultimi vent’anni sono nati una quindicina di nuovi Gruppi. La sede è in un bell’edificio a più piani costruito negli anni Novanta dalle penne nere in via Nikolajewka, a fianco delle strutture che ospitano la celebre “Scuola” per disabili. All’interno trovano posto, oltre ai locali di servizio, anche un museo (molto apprezzato e visitato dalle scolaresche), la sala prove del coro Alte Cime e il deposito del nucleo di Protezione Civile. «La nostra storica scelta di iscrivere solo chi ha fatto il militare negli alpini – ammette Turrini – sta facendo un po’ invecchiare le file operative, anche se, ad esempio, il servizio antincendio boschivo può ancora contare su forze più giovani».
È difficile sintetizzare una storia centenaria: possiamo richiamare alla memoria alcuni interventi portati a termine da questi alpini afflitti dal “mal dé la préda” (il male della pietra, ovvero l’amore per le costruzioni). Così ricordiamo in Friuli, a Buja, un Villaggio Brescia, come pure accadde in Irpinia e, con un salto storico, la recente realizzazione del Centro Polivalente di Arquata del Tronto e del Ponte dell’Amicizia a Nikolajewka, opere in cui progetto, materiali e mano d’opera hanno l’accento sgarbato della terra bresciana. Il nome di Nikolajewka è intrecciato a quello di Brescia: gli alpini della Tridentina che ruppero il cerchio il 26 gennaio del 1943 erano in larga parte bresciani (come i nomi dei battaglioni, Edolo, Vestone, Val Chiese e Val Camonica). E furono loro (specie Ferruccio Panazza, che fu anche vice Presidente nazionale) nel 1983 a erigere come monumento vivente la “Scuola di arti e mestieri per spastici e miodistrofici” che doveva tramandare il nome della battaglia, “aiutando i vivi per onorare i morti”.
È stato il miracolo delle penne nere bresciane: oggi la “Scuola” è la più grande e moderna struttura socio sanitaria in Italia per la disabilità fisica. Realizzata in tre fasi, senza un centesimo di denaro pubblico, l’ultima delle quali inaugurata a gennaio 2019, oggi ospita 120 persone con disabilità gravissime in strutture di diecimila metri quadrati: i Gruppi bresciani contribuiscono, sempre, anche economicamente al mantenimento di questa vera meraviglia, per garantire la cui proprietà è stata creata la Fondazione Nikolajewka, sempre presieduta da un alpino. E sempre da Panazza venne l’altra “pazza idea”, ovvero la costruzione dell’Asilo Sorriso di Rossosch.
Un legame profondissimo quello dei bresciani con la terra russa, suggellato due anni fa dalla firma di un “Patto di fratellanza” con la gente della Provincia di Birjuc, dove si trova Nikolajewka. E se ogni anno ufficiali dell’ambasciata russa partecipano alle celebrazioni a carattere nazionale, a Brescia, degli anniversari di Nikolajewka, non si può non ricordare con commozione quanto avvenne nella piazza della cattedrale di Brescia nel 1993: nel 50º della battaglia, reduci alpini e dell’Armata Rossa si strinsero la mano davanti alle urne dei nostri Caduti rientrate dalla Russia. Fu il probabilmente il “capolavoro” di Sandro Rossi, per 21 anni Presidente sezionale (che nel 2006 lasciò il posto, per nove anni, a Davide Forlani, predecessore di Turrini). L’altra struttura simbolo è la Casa dell’Alpino di Irma, in Valle Trompia: un soggiorno climatico realizzato nel 1938 per i figli degli alpini più bisognosi. Oggi, rimodernato e adattato alle normative, ospita ogni anno una quarantina di ragazzi per una vacanza-studio (della montagna) con gli alpini e associazioni e parrocchie, che nella bella stagione sfruttano la felice collocazione per le loro attività.
I camminatori possono poi raggiungere la rossa struttura del bivacco “Ceco Baroni”, costruito nel 1977 dagli alpini, che spicca in Val Adamé, a 2.800 metri, tra Cima delle Levade e il Pian di Neve nel Gruppo dell’Adamello: è dedicato al sergente maggiore Francesco “Ceco” Baroni, mortaista del Vestone, che Rigoni Stern ha ricordato ne “Il sergente nella neve”. «Quella di Brescia – ricorda il Presidente – è una Sezione operativa, che mal sopporta di starsene mani in mano. Basti pensare al recente recupero delle postazioni di seconda linea della Prima guerra mondiale al passo del Maniva, che continuerà anche quest’anno e che sta riscuotendo grandissimo successo con le visite guidate ogni fine settimana». Progetti a medio termine? «Confidiamo nella possibilità – sorride Turrini – di ospitare un’Adunata nazionale, dopo quelle del 1970 e 2000; magari nel 2025».
Massimo Cortesi