Egisto Corradi

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    Nelle foto di guerra colte al volo, gli sguardi, le situazioni, trasmettono tutta la loro autenticità comunicativa. Stesso risultato che Egisto Corradi (Parma, 1914 – Milano, 1990) otteneva con le parole. Nelle sue numerose cronache da inviato all’estero fu un abile e acuto osservatore che fotografava la realtà, scevro da contaminazioni o condizionamenti. “Vai, guarda e racconta come se scrivessi una lettera al tuo più caro amico. Quando si parla con un amico non si usano verbosità o astrusità”, consigliò alla figlia Marina, che ha seguito le orme del padre. Dopo la laurea in Economia e Commercio Corradi si avvicinò al giornalismo collaborando con la Gazzetta di Parma. Ma la guerra incombe e il fronte chiama. Prima in Grecia poi in Russia in forza alla sezione Operazioni e Servizi del Comando Divisione della Julia. I sanguinosi combattimenti, poi la Ritirata e il rientro in Italia nella primavera del 1943; il grado di sottotenente, sul petto una Medaglia d’Argento al Valor Militare. Nel 1963 pubblica La ritirata di Russia – La marcia allucinante degli Alpini in un inferno di ghiaccio e di fuoco. Il testo autobiografico, scritto in stile asciutto, è preciso nella cronaca, anche perché Corradi era stato incaricato di redigere, giorno per giorno, il diario storico della Julia con i dati sulla vita della Divisione. Descrive con accuratezza fatti e sentimenti successivi alla decisione dei comandi di inviare le truppe sul Don e non sul Caucaso, i combattimenti in posizione, il rischio di essere accerchiati – “l’odore di sacca” – e infine la Ritirata. L’ultimo capitolo è dedicato ai compagni di guerra che rivede borghesi e a quelli che “sono morti nel frattempo in questa grande sacca senza scampo che è il corso della vita”. Dal dopoguerra lavora al Corriere della Sera come inviato e gira il mondo: Vietnam, Cambogia, Algeria; è in Ungheria durante l’invasione russa, in Cecoslovacchia e in Congo. Dell’Africa aveva già parlato nel primo libro pubblicato nel 1952, Africa a cronometro, che prende spunto da una corsa automobilistica per raccontare un continente complesso, all’epoca ancora misterioso, martoriato dalle guerre civili. In Italia fu testimone diretto di grandi fatti come i soccorsi immediatamente successivi al disastro del Vajont e al terremoto del Belice. Gli ultimi reportage per il Corriere della Sera li fece dall’Afghanistan, prima di seguire Indro Montanelli a Il Giornale. Alcuni di quegli splendidi fotogrammi che raccontano spaccati di storia dal dopoguerra al 1974 sono raccolti in un volume edito a cura della Fondazione Corriere della Sera.