Dove sei stato mio bell’alpino?

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    Ed è luglio. Le finestre di bel tempo, qualche chiazza di neve che resiste al caldo, i rododendri in fiore e i boschi che offrono respiro. La montagna chiama. Per cento anni gli alpini hanno salito le loro cime in pellegrinaggio con il sole, gli acquazzoni, il freddo, a volte anche con la neve per ritrovarsi e nell’incontro condividere il ricordo di quella storia che li ha preceduti e della quale si sentono, perché lo sono, figli diretti.

    Quest’anno andrà diversamente, lo sappiamo. Chi potrà, percorrerà la linea del fronte durante le vacanze o il sabato e la domenica; altri sfogliando L’Alpino e guardando le fotografie, ricorderanno. Forse qualcuno prenderà spunto da questo scritto e calzati gli scarponi comincerà la salita. Ad attenderci l’Altipiano dei Sette Comuni che ci rimanda all’Ortigara, declinata al femminile. Sembra infatti aver perso il toponimo di Monte, fino a diventare idealmente una sorta di entità superiore animata, un mondo a sé, una mamma che ogni volta induce alla riflessione. Servirà un’auto per raggiungere il piazzale Lozze a quota 1.770, punto di partenza dell’itinerario scelto.

    Da Gallio, superato il centro, si seguono le indicazioni per Melette-Campomulo fino al rifugio Campomuletto dove termina l’asfalto e comincia la strada sterrata. Proseguendo per circa 10 chilometri, ecco raggiunto il piazzale dove parcheggiare l’auto. Gli esperti della zona dicono che questo itinerario sia il percorso più completo per conoscere questa porzione di fronte e comprenderne gli avvenimenti; Vittorio Brunello ci ricorda che «qui, sull’Altipiano, la guerra ebbe inizio il 24 maggio 1915 e terminò il 4 novembre 1918». Comincia il cammino, si sale seguendo il sentiero 841 che monta le pendici orientali di Cima Campanella, si continua verso nord percorrendo un’ampia strada militare fino a raggiungere l’osservatorio Torino dalle cui feritoie si apre vastissima la visuale sul Prà della Porta e sulla Valsugana. Oltre la piana spuntano il Gruppo del Lagorai, Cima d’Asta, il profilo lontano eppure inconfondibile della Marmolada, la schiera delle Pale di San Martino.

    A chiudere, sulla destra le Alpi Feltrine, selvagge, il Gruppo della Schiara, la montagna di Belluno e il massiccio del Grappa. In una manciata di minuti è possibile raggiungere la Cima Caldiera (2.124metri). Un avvertimento, non è questa una montagna dove venire a fare una passeggiata per staccare dalla routine, dove controllare altimetro e tempi. Si sente il peso della storia. Il peso di migliaia di ragazzi consapevoli che tra i declivi di quelle doline di roccia carsica avrebbero perso la vita. Dalla cima della Caldiera, punto strategico che offre una visuale completa su quello che fu il campo di battaglia, si scende verso il Pozzo della Scala nel Vallone dell’Agnellizza e si risalgono le pendici dell’Ortigara raggiungendo il cippo austriaco. Al centro della pietraia di quota 2.105 che riflette il sole, bianca e scarna, è piantata la Colonna Mozza.

    Qui giunti, sarebbe buona cosa avere nello zaino qualche stralcio delle memorie di Paolo Monelli, sedersi su di un masso e cominciarne la lettura: “Da allora sentimmo che i morti inutili dell’Ortigara erano dei nostri più degni e migliori, quelli da evocare più spesso nelle nostre adunate, quelli da celebrare con più amore nelle nostre feste. E perdonate adesso a un vecchio umanista quale io sono, non guarito di questo male da quattro anni di cilicio alpino, se voglio chiudere in un motto, nella lingua dei nostri padri, l’onore e il valore dei morti dell’Ortigara. Il motto me lo dà Tacito, e mi pare di leggerlo inciso su quel lastrone liscio sotto il quale restò freddato il mio comandante di battaglione. Fortunam inter dubiis, virtutem inter certis numeraverunt.

    Annoverarono la fortuna fra le cose dubbie, fra le certe il valore”. Dalla Colonna Mozza, per chiudere l’itinerario a formare un anello pressoché perfetto, si punta alla Madonnina del Lozze, un balcone, dal Portule alla Caldiera. Si scende al rifugio intitolato all’alpino Giovanni Cecchin, Medaglia d’Oro al Valor Militare (a quando la ristrutturazione e l’ampliamento?) e, infine, alla chiesetta del Lozze “quest’umile sacra dimora, sorta nei crepuscoli di Caporetto, testifica a Dio, alle innumerevoli vite mietute sull’Ortigara, che mai onta sfiorò la purissima anima alpina”. E da qui l’ultimo tratto fino al piazzale.

    Mariolina Cattaneo