Diventare alpini

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    È iniziato da Torino, tra mura storiche prestigiose, il percorso per il 150º anniversario del Corpo degli Alpini, promosso e organizzato in sinergia da Ana e Comando Truppe Alpine. È stato infatti il Palazzo dell’Arsenale, sede della Scuola di applicazione dell’Esercito, a ospitare la prima di sei conferenze che in altrettante città sono dedicate a storia ed evoluzione delle penne nere. E un percorso storico non poteva che partire dalle fondamenta, ovvero da “Diventare Alpini nell’Esercito Italiano: linee evolutive”, visti i non irrilevanti mutamenti avvenuti da quando, il 15 ottobre 1872, a Napoli, re Vittorio Emanuele II firmò il decreto che dava vita a compagnie di montanari per difendere l’Arco alpino.

    Ad affrontare l’argomento il gen. B. Fulvio Poli, dello Stato Maggiore Esercito, Gianni Oliva, giornalista e scrittore, il prof. Nicola Labanca (Presidente del Centro interuniversitario di studi e ricerche storico militari, collegato via web, causa infortunio) e il ten. col. Mario Renna, sollecitati dalle domande di Mauro Azzi del Centro Studi Ana. In un videomessaggio agli ospiti (tra cui Anna Rossomando, vice Presidente del Senato) il Capo di Stato Maggiore dell’Esercito, gen. C.A. Pietro Serino, ha sottolineato la meritata fama e il ruolo fondamentale delle Truppe Alpine, che grazie al grande contributo dell’Ana («i cui meriti sono troppi per essere elencati») godono di riconoscenza unanime tra i cittadini. Onori di casa affidati al comandante della Scuola, gen. D. Mauro D’Ubaldi, che ha evidenziato il valore di cultura e letteratura sviluppatesi dalla storia alpina; quindi è toccato al gen. C.A. Ignazio Gamba, comandante delle Truppe Alpine, ricordare quanto queste siano determinanti in ogni obiettivo della difesa del Paese, sino alla cosiddetta IV Missione, a favore della popolazione, come è ora nell’emergenza sanitaria e definire gli alpini «Paladini della montagna, in difesa di tradizioni e futuro, grazie al mantenimento dello spirito di corpo».

    Infine, il nostro Presidente Sebastiano Favero ha sottolineato il valore della definizione “Corpo” degli Alpini, «perché – ha detto – siamo le due facce della stessa medaglia e lavoriamo insieme, portando ovunque, anche nella pandemia, umanità e disponibilità». Per questo – ha ricordato – sarebbe importante «trasmettere ai giovani senso del dovere prima dei diritti, attraverso una formazione fondamentale per l’identità nazionale» (e in tal senso è stata apprezzata la lettera del ministro dell’Istruzione Bianchi che, lodando gli alpini, auspica che i loro valori siano trasmessi nelle scuole).

    Il reclutamento alpino, ha ricordato il gen. Poli, è figlio delle considerazioni, sviluppate da Perucchetti e da Ricci, attorno al modello regionale prussiano e alla nascita dei distretti militari. Un reclutamento che si rivelò vincente, non solo operativamente, ma anche in tema di consenso popolare: «Quando vedevi gli alpini – ha ricordato Gianni Oliva – vedevi la proiezione diretta delle tue montagne, le caserme non erano una cosa estranea, perché popolate dai tuoi giovani, i quali non vi trovavano dei commilitoni, ma dei compaesani». E ciò si renderà evidente nelle occasioni belliche anche più tragiche, perché il legame tra i soldati era consolidato e precedente. Non a caso – ha sottolineato Oliva – la metà delle copertine che la Domenica del Corriere dedicò alla Grande Guerra aveva per protagonisti gli alpini «sia perché il bianco delle neve era meno angosciante, sia perché la gente di montagna trasmetteva un senso rassicurante ». E questo proiettò gli alpini nell’immaginario collettivo.

    «Dopo la Guerra franco-prussiana – ha ricordato Nicola Labanca – ci si rese conto che all’interno di eserciti di massa servivano più uomini specializzati, per formare reparti compatti con conoscenza del territorio in cui operavano. Ma il reclutamento territoriale non fu totale (ancor più negli ufficiali): ad esempio nel 1890 a Pinerolo era alpino il 48% dei coscritti e in quegli anni il reclutamento cominciò anche a scendere verso la pianura, facendo prevalere l’addestramento sulla provenienza». Proprio questo tema ha sviluppato Renna: «Il soldato da montagna di oggi non è molto diverso da quello originario, contano molto motivazione e formazione. Lo si percepisce anche chiedendo ai giovani perché hanno chiesto di entrare negli alpini. Fondamentali sono l’amore per la montagna e, grazie anche alle tradizioni dell’Ana, la sensazione di entrare a far parte di una grande famiglia.

    Fenomeno che oggi si consolida nuovamente anche tra i giovani del Nord, complici motivazioni lavorative e possibilità di partecipare a missioni internazionali. Il gruppo – ha precisato – prescinde dalla provenienza geografica: negli alpini si parte tutti assieme e si arriva tutti assieme». «Sopravvivenza e forza dell’immagine alpina – ha aggiunto Oliva – sono legate ai soci Ana, che, cappello in testa, operano sempre a favore della comunità, tanto che nel Nord Italia nel 1945, per ritrovare stabilità sociale dopo il disastro bellico si puntò molto proprio sull’Ana».

    «Oggi – ha ricordato Labanca – le montagne sono meno popolate, ma il mito alpino rimane intatto, con l’Ana che ne è creatrice e custode». «Per questo – hanno chiosato Renna e Oliva – è fondamentale trasferire conoscenza e che i giovani abbiano una preparazione storica contemporanea: devono sapere che se sono lì lo devono a quanti li hanno preceduti, nel passato prossimo». Il prossimo appuntamento culturale sarà a Trento, l’11 marzo, col suggestivo titolo di “Dove osano le aquile”.

    ma.cor.