Cuneo, penisola fluviale con vista sul Monviso

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    Una lunga storia che risale al XII secolo: da libero comune a capitale morale della Resistenza.

    Potrebbe essere stato un evento leggendario, oppure no, sospeso fra la tradizione popolare e la realtà storica, a provocare la scintilla che in un giorno lontano del 1198 accese gli animi dei convenuti al ‘Pizzo di Conio’, terrazzo dalle rive scoscese incuneato alla confluenza di Gesso e Stura, così descritti dal cronista quattrocentesco Giovan Francesco Rebaccini: Scorrevano dall’una e dall’altra parte con acque chiarissime, tanto per uso delli uomini e delli animali, quanto per adacquarsi i prati, per molini e altri artifizi d’acqua comodissimi… ed eravi tutt’intorno una piacevole pianura e una veduta assai rilevata’, dalle Alpi Marittime e Cozie fino al Monviso, che chiudono ad arco l’orizzonte.

    Sul promontorio sorgeva solitaria la cappella di Nostra Signora del Bosco, il ‘primo tempio di quei di Cuneo’: lì, ‘sotto colore di un atto di devozione’, si erano radunati gruppi provenienti dalle vicine contrade per uno spontaneo sit in contro l’ennesima prepotenza del signorotto di Caraglio, un don Rodrigo ante litteram che, in nome del feudale ‘jus primae noctis’, aveva fatto oggetto delle sue mire una bellezza locale, promessa sposa.

    Gli animi si erano riscaldati e la protesta trovò sbocco nell’elezione dei capi della comunità ribelle: sulle colline dei dintorni furono approntate cataste di legna per dare il segnale dell’insurrezione, mentre si provvedeva al taglio di alberi e alla costruzione di alcuni casolari. Ancora in forma embrionale, il governo di ‘Villa de Cuni stava abolendo di fatto gli obblighi feudali: la sua esistenza è citata per la prima volta in un atto pubblico del 23 giugno 1198, convenzionalmente accettato come certificato battesimale. Case in muratura sostituiranno le capannne di legno e altre borgate saranno assorbite ma, contro l’ostilità larvata o scoperta dei signori feudali, si dovrà inizialmente chiedere la protezione del potente comune di Asti.

    Non basta: un succedersi confuso di eventi, che vedrà anche la distruzione del primo nucleo comunale, indurrà i reggitori a stipulare col conte di Provenza, Carlo d’Angiò, un atto di dedizione, che farà del territorio una testa di ponte d’oltralpe nel Piemonte di Casa Savoia. Il legame con la Provenza era favorito da una comune matrice linguistica che, alla caduta dell’impero romano, aveva dato origine nelle valli alpine piemontesi alla nascita di idiomi popolari, la lingua d’oc. Oggi i dialetti occitani si parlano, o si comprendono, in una decina di valli cuneesi, le cui tradizioni rivivono ancora con frequenza nel folklore delle sagre paesane.

    Con gli angioini, Cuneo ottiene speciali statuti e il diritto di batter moneta, ma la nuova prosperità economica non durerà a lungo: il ritiro dei provenzali, seguito da un alternarsi di varie ed effimere signorie, apre nel 1382 la porta ai duchi di Casa Savoia, con l’inevitabile rinuncia all’autonomia comunale. Col tempo acquistò invece importanza come fortezza di frontiera e piazzaforte strategica contro la Francia, che la porteranno a subire in due secoli ben sette assedi, in occasione dei quali fu più volte costretta a ricorrere al suo patrono, il beato Angelo Carletti, incaricandolo di… deviare le palle dei cannoni che piovevano sulla città.

    Forse fu lui che, la sera di plenilunio del 26 giugno 1577, suggerì agli assediati, ridotti alla fame, un originale ‘piano d’inganno’, facendo schierare in lunga fila sulle mura le donne più prosperose che, a comando, volsero le terga agli assedianti e alzarono le gonne, mettendo in bella mostra le floride rotondità posteriori, visibilmente… non provate dai digiuni. Anche i francesi, divertiti e rassegnati, volsero le terga e levarono le tende. Emanuele Filiberto conferì a Cuneo il titolo di città, che assunse sempre maggior peso sulle vicine valli alpine e su buona parte dei pianalti di fondo valle.

    Quando si dissolverà l’incubo dei saraceni, la strada del colle di Tenda fu resa più praticabile e diventò la via del mare e del sale. Ingrediente indispensabile alla conservazione delle derrate e alla concia delle pelli, il sale ebbe in passato una importanza pari a quella odierna del petrolio: era sottoposto a pesanti gabelle e provocò un contrabbando generalizzato. Durante la bella stagione, alle lente carovane dei muli si alternavano le lettighe delle dame nizzarde in mano ai collants , guide e portatori del colle, con destinazione Cuneo: una sedia di paglia, due lunghi bastoni di sostegno, un’asse per i piedi e l’immancabile telo protettivo (guai a ritornare abbronzate come volgari contadine!).

    Un’altra via del sale, risalita dalla Provenza, varcava le Cozie al colle delle Traversette, non lontano dal Monviso, scendendo poi lungo un sentiero da capre, soggetto a frane e valanghe. Ma a un certo punto la barriera rocciosa non raggiungeva spessori proibitivi: sottoposta a ‘trattamento Annibale’, arrostita con fuoco di legna al calor bianco e raffreddata di colpo con acqua e aceto, fu pazientemente sgretolata a colpi di mazza. Nasceva cosi il ‘Buco del Viso’, lungo 75 metri, largo 3 e alto 2: il primo tunnel artificiale della storia.

    L’assedio più cruento fu quello del 1744, durante la ‘Guerra delle Alpi’ contro i franco ispani: si risolse vittoriosamente grazie alla ferrea disciplina imposta dal barone di Leutrum (il baron Litron), condottiero svevo assoldato dal re di Sardegna che lo nominerà governatore a vita della città. Durante il periodo napoleonico Cuneo divenne capoluogo del Dipartimento della Stura e subirà per 14 anni la successiva occupazione degli austro russi, i quali, fra il 1800 e il 1802, ne abbatterono le mura, creando i presupposti della sua svolta urbanistica del XIX secolo.

    Ritornata ai Savoia, nel 1859 diventerà capoluogo della più vasta provincia piemontese e fra le più estese d’ltalia, la ‘provincia granda’. Quattro anni prima, nell’antico convento delle Clarisse trasformato in scuola, il nizzardo Giuseppe Garibaldi aveva stabilito il centro di reclutamento dei Cacciatori delle Alpi, messi ai suoi ordini nella seconda guerra d’indipendenza. Furono i precursori più immediati degli alpini, nati una dozzina d’anni dopo: nella prima delle 15 compagnie originarie, di sede nel Cuneese, si formarono i padri del 1º e 2º reggimento Alpini, della Divisione Cuneense e delle formazioni della Resistenza, che segnò profondamente la memoria storica della città.

    Nello stesso luogo dove, otto secoli prima, aveva dichiarato guerra al feudalesimo l’anonimo esponente delle libertà comunali, il 26 luglio 1943, alla caduta di Mussolini, dette il segnale dell’insurrezione contro il fascismo Duccio Galimberti, il primo a salire in montagna dopo 1’8 settembre: catturato dai tedeschi, sarà barbaramente assassinato. A lui, decorato di Medaglia d’Oro, sarà dedicata la grandiosa piazza sulla quale sorge la cattedrale del 1662, nata sulle fondamenta dell’antica cappella di Nostra Signora del Bosco e dove la ‘città vecchia’ sfocia nella nuova.

    La prima conserva l’impronta medioevale, divisa in due dall’ attuale porticata via Roma. Racchiude fra l’altro il ‘Campanone’, torre civica di età angioina, con l’antica prigione a vano unico e priva di porte e finestre, dove i carcerati venivano calati con funi dall’apertura della volta; il ghetto con Sinagoga degli ebrei venuti dalla Provenza, e poi torri, palazzi storici, conventi e chiese. Oltre piazza Galimberti si avvia in direzione delle Alpi corso Nizza, asse portante della città moderna.

    Monumentale il ponte viadotto sulla Stura, singolare e vibrante nell’omonimo parco il monumento alla Resistenza, di Umberto
    Mastroianni. Racchiuse nella cerchia alpina occidentale, che scende con ripido pendio e regolare idrografia, le valli del Cuneese dalla pianura raggiungono in breve le pendici di vette elevate: come l’Argentera (m. 3.297), all’ombra della quale si estende il Parco Nazionale delle Alpi Marittime, come il Monviso, il re di pietra visto così dal cuneese Giorgio Bocca: ‘Il centro del grande arco alpino attorno alla mia città sta come un totem dominante, simile al Cervino, meno feroce.

    Non si confonde: è solo, avanzato verso la pianura, visibile da tutto il Piemonte’. E il Monviso è visibile anche dalle lontane Langhe, il sistema collinare già noto ai Romani per i suoi prodotti agricoli, dalle dorsali che s’innalzano all’improvviso in cocuzzoli montani separati da valli strette e tortuose, percorse da torrenti vertiginosi tra boschi di querce, castagni, faggi.

    Umberto Pelazza