Proprio come non è automatico associare Milano agli alpini – che pure proprio qui hanno fondato l’Ana nel 1919 e ancor prima da qui sono partiti numerosi per difendere i nuovi confini italiani – allo stesso modo gli alpini, proverbialmente amanti del buon cibo e della convivialità a tavola, potrebbero faticare ad associare Milano a una gastronomia golosa. E anche su questo fronte l’Adunata del Centenario sarà occasione di ricredersi. Sbaglia chi pensa che la cucina milanese sia solo l’ossobuco con il risotto giallo, che comunque non è poco… Città operosa e subito industrializzata, Milano ha in effetti rischiato che alle sue ricette mancasse l’ispirazione di altre aree invece fortemente agricole e più povere, costrette a far di necessità virtù e a sfruttare tutti i doni della terra, comprese erbe e radici selvatiche. Tuttavia la storia antica ha sopperito, arricchendo il bagaglio cultural-gastronomico meneghino con le influenze dei popoli dominatori che si sono succeduti in città e con le acquisizioni tipiche di una terra di scambio. Basti dire che ai Celti si devono l’allevamento del maiale con il relativo lardo che ha popolato le dispense meneghine per secoli, le pultes (antenate della polenta) e la tecnica di cottura detta stufatura… Per la coltivazione del riso nella Bassa Milanese si deve invece dire grazie alle bonifiche viscontee e sforzesche. La cassoeula pare infine sia eredità della dominazione spagnola. Certo è che la risicoltura, gli allevamenti bovini e suini e l’abbondanza di legna da ardere, complice anche il clima, hanno veicolato la cucina milanese verso piatti a lunga cottura e sostanziosi, che nessun alpino potrebbe disdegnare: risotto allo zafferano – il cui avanzo diventa poi il prelibato risotto al salto – bollito misto con le tipiche salse rossa, gialla e verde e il cren (e il giorno dopo mondeghili, polpette di recupero a base di lesso; oppure savoiarda, ovvero, testina e lingua in insalata con i sottaceti), cassoeula (tripudio di verze e ogni parte del maiale, dalla lunga preparazione), busecca (trippa in umido, con i fagioli bianchi), ossobuco in gremolada, rustin negàa (nodini di vitello prima rosolati nel burro e poi cotti a fuoco lento nel brodo), fritto misto alla milanese (frattaglie), polenta con il brasato o “semplicemente” con il gorgonzola o il taleggio, rane di fosso (sempre più rare) fritte o in guazzetto. Il tutto accompagnato con delle croccanti michette, il pane tipico del territorio. Da non perdere la classica cotoletta alla milanese, ultimamente molto richiesta nella versione aperta a orecchia d’elefante, sottilissima e croccante. Chi, suo malgrado, deve riguardarsi un po’, non conti sul pesce di acqua dolce (anguilla, tinca, persico ecc.) che, quando non è fritto nel burro, è comunque arricchito con salse caloriche. In compenso, questa è la stagione dei famosi asparagi alla milanese, abbinati a uova in cereghin (al burro, ma si può chiedere una versione light) e abbondante formaggio grattugiato… Dulcis in fundo, da assaggiare la meneghina, la torta di pane raffermo con le mele e – con un po’ di fortuna – il vero panettone che la città invita a degustare sempre, non solo a Natale.
f.z.