Consenso e impegno

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    L’abbiamo definito l’abbraccio, senza timore di cadere nella retorica. Perché è un abbraccio quello che abbiamo sentito stringersi attorno agli alpini in occasione del 150º anniversario di fondazione del Corpo, a Napoli, il 15 ottobre. Un abbraccio che si è manifestato più che nella disponibilità delle autorità napoletane e nella cerimonia in piazza Plebiscito (comunque davvero affollata) nell’afflato spontaneo dei napoletani che, pur avvezzi alla cosmopolita invasione di turisti, hanno accolto con grande calore umano le penne nere.

    Sorpresi nell’apprendere che i soldati delle montagne avessero un’origine storica partenopea, divertiti e divertenti nell’approccio: “Oggesù, ma ch’è successo?” mi ha chiesto una simpatica e preparata guida turistica che mi accompagnava in un fantastico tour culturale. “Niente signora, festeggiamo il 150º di fondazione del Corpo, avvenuta proprio a Napoli”. È scoppiata in una bella risata: “O, Madonna, a Napoli? No, perché ho visto in giro tanti alpini e pensavo che fosse successo qualcosa”.

    Osservazione che in fin dei conti possiamo prendere come un elogio, poiché rende merito agli alpini di essere sempre presenti nelle emergenze. Un abbraccio che abbiamo sentito rinnovarsi, con un calore che a causa dell’astinenza di due anni imposta dalla pandemia è sembrato essersi accentuato, pochi giorni dopo a Lecco, in occasione del raduno del 2º Raggruppamento: nella tradizionalmente riservata città lariana, migliaia di persone hanno fatto da ala, applaudendo al passaggio delle sfilate, anche la domenica, giornata decisamente uggiosa e piovosa.

    E se qualche settimana prima, ad Asiago, lo spettacolo della gente stretta attorno agli alpini poteva anche essere attribuito al dna indiscutibile dell’altopiano veneto, la sequenza di abbracci nelle settimane successive è stata una conferma che ha scaldato i cuori. Perché al di là di qualunque sterile polemica, la gente ama gli alpini, per la loro storia, i loro valori, le loro tradizioni, il loro legame col territorio e vede in loro le conferme delle qualità che tanto sono necessarie al nostro Paese, soprattutto in momenti di difficoltà come quelli che da troppo stiamo ormai attraversando.

    “Siete un segno di speranza”, ha detto alle penne nere durante l’omelia nella reale basilica di Napoli l’Ordinario militare, mons. Santo Marcianò. Una definizione laudativa ma assai impegnativa. La speranza incarnata dagli alpini è infatti incentrata sul loro esserci sempre, pronti e disponibili al servizio, senza chiedere nulla in cambio: caratteristica che va perdendo valore in una società sempre più imperniata su una fama effimera, propagata in quello che si definisce metaverso, mondo virtuale che spesso crea ed esaurisce eventi e figure nel volgere di poche ore, se non di minuti.

    Mondo in cui i nostri giovani rischiano di perdere il contatto con le esigenze reali dell’esistenza e della convivenza. A noi, allora, il compito di stringerli nel nostro, di abbraccio: compito non facile, che richiede da parte nostra perseveranza e impegno, ma che ha anche urgente bisogno della convinta collaborazione di chi ci governa.

    Massimo Cortesi