Con le Penne Nere dei due mondi

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    Le commoventi accoglienze Tre storie emblematiche: della storia di chi ha trovato una seconda Patria e della stessa storia d’Italia.

    di Vittorio Brunello

    L’A.N.A. conta 32 sezioni all’estero, più alcuni gruppi autonomi. Tenuto conto che parliamo di presenze alpine su continenti come l’America del Nord, del Sud, del Sudafrica e dell’Australia, senza trascurare l’Europa, ci si rende conto come i contatti con la sede nazionale possano talvolta incontrare più di una difficoltà. È quello che si è verificato con le sezioni del Venezuela, Perù e Brasile che da qualche anno risultano, nei grossi libroni dell’Amministrazione, con zero iscritti.

    Per questo il Presidente nazionale Corrado Perona ha pensato che era tempo di andare a verificare dov’erano finiti gli alpini di quelle sezioni. La ricerca dei contatti meriterebbe di essere raccontata, perché dimostra come il tam tam di radio scarpa funzioni talvolta meglio delle tecnologie avanzate, e mail e satellitari compresi, ma ci porterebbe troppo lontano. Basti dire che è stato sufficiente diffondere la notizia che una delegazione A.N.A. stava per avventurarsi, per la prima volta in quasi un secolo di vita dell’Associazione, nelle città andine per avere subito informazioni su presidenti in carica, tornati in Italia o che riposano nel Paradiso di Cantore.

    VENEZUELA L’arrivo in Venezuela, in un bel pomeriggio del 23 marzo, ha riservato alla trentina di alpini e familiari della comitiva ANA uno spettacolo che ha subito evidenziato il contrasto scioccante che caratterizza quel Paese: la natura splendida delle terre sub tropicali e l’estensione enorme dei ranchito o favelas, aggrappate miracolosamente sui ripidi pendii delle valli che circondano Caracas.

    Si tocca con mano la struttura a scacchiera della città, a seconda del reddito, e la leggenda dei dodici apostoli , cioè delle famiglie che un tempo dominavano l’economia e la politica dell’intero Paese, come chiave di lettura delle condizioni di vita di 24 milioni di venezuelani. Oggi sembra che il numero dei clan dominanti sia duecento. Il presidente della sezione A.N.A. del Venezuela, Ivo Crovesi, un ligure di 85 anni, ben portati, ci ha accolti nella sede del Fogolar Furlan con signorile fair play, nonostante il ritardo che il traffico, a dir poco caotico, ci aveva inflitto. Con lui c’erano la signora Mariangela Tesi in Carante, moglie dell’ambasciatore italiano, il capitano di vascello Stefano Mastrodicasa, addetto militare, la signora Mirta Gentile, console di Caracas, il cappellano don Gelindo, scalabriniano di Schiavon (Vicenza) e il signor Enzo Gandin, responsabile del Fogolar.

    Assieme ai tanti vessilli e ai gagliardetti venuti dall’ Italia spiccava quello del Venezuela, dedicato alla Medaglia d’Oro ten. medico Giuseppe Mendoza, caduto sul fronte russo. Il presidente nazionale Perona ha riscaldato i cuori con un intervento toccante nei confronti degli alpini presenti all’incontro ed ha sottolineato l’importanza che il vessillo sezionale sia presente nelle ricorrenze patriottiche e che il cappello alpino, anche in quel lontano Paese, sia guardato come segno di serietà, laboriosità, onestà. Tutto questo riempie il cuore di gratitudine e di riconoscenza.

    In riunione separata si è parlato della vita della sezione e concordato di affiancare al presidente Crovesi, in qualità di vice presidente, Ernesto Beghi, originario di Varese e di provvedere alla nomina di un segretario, con l’impegno di inviare a Milano quanto prima l’elenco dei soci iscritti e degli amici, in modo da riattivare una struttura organica ed operativa. In un clima di festosa amicizia, dopo lo scambio dei guidoncini e il brindisi augurale, la comitiva ha lasciato la bella sede dei Friulani non senza aver ammirato, nel giardinetto dell’ingresso, un maestoso focolare, protetto da un’importante struttura muraria, a forma di baita, che lo rende molto simile ad un altare. La città di Caracas custodisce due gioielli di notevole interesse architettonico e di alto valore simbolico: il Panthéon e il Campidoglio.

    Il primo, un edificio imponente, ricco di marmi e vivacizzato da innumerevoli bandiere, custodisce la tomba di Simone Bolivar, l’eroe dell’indipendenza dei paesi sudamericani; il secondo, a forma ogivale, costituito da un austero salone con una serie di dipinti che raccontano le vicende della guerra d’indipendenza del Venezuela, evidenzia un sogno, mai realizzato: la costituzione degli Stati Uniti del Sudamerica. La visita al Centro Italo Venezuelano con decine di piscine olimpioniche, campi da tennis, ristoranti, sale convegni, vegetazione da Eden, segno tangibile del ruolo e del prestigio dei nostri emigrati in quella terra, chiude la breve visita ad una città dove si respira, tra mille difficoltà e una palpabile insicurezza della propria incolumità, un’aria gioiosa, una prorompente voglia di vivere stampata sul volto degli adulti e soprattutto dei bambini che a frotte popolano centro e periferie.

    PERÙ Lima, capitale del Perù, si estende su belle spiagge, lunghe all’infinito e protette dalle intemperanze del Pacifico da un’alta falesia che consente di ammirare un panorama straordinario, quando la nebbia dà tregua, e di dormire sonni tranquilli al riparo da tempeste e tsunami.

    Di alpini in quella città ce ne sono pochi e il suo presidente, Celso Salvetti, da tempo rientrato in Italia, ha fatto zaino a terra. Nella città peruviana c’è comunque una bella sede ANA, col suo vessillo dedicato alla memoria della medaglia d’Oro Antonio Ciccirello, ricca di cimeli e foto a testimonianza di una vitalità passata, degna di una grande sezione. Mentre il grosso della comitiva visita la città, il presidente Perona, lo scrivente e Ornello Capannolo, consigliere nazionale, s’incontrano con Sandro Banino, lontane origini biellesi, venuto volontario in Italia per fare l’alpino e finito non casualmente tra i paracadutisti. Poco più che trentenne, morde il freno per la voglia di fare tante cose.

    Il Presidente Perona gli ha per il momento affidato il compito di riorganizzare la sezione in modo che entro un anno ci siano un elenco dei soci, un presidente, un vicepresidente, un segretario, regolarmente eletti. Salvetti assumerà la carica di presidente onorario. Dalla terrazza della sezione si spazia dal profilo delle colline pre andine all’oceano e si domina, in uno stupendo colpo d’occhio, quella città di otto milioni di abitanti, ordinata, fiorita, così simile alle nostre, se non fosse per un traffico talmente convulso da somigliare ad un perenne gioco alla roulette russa.

    Nel pomeriggio la comitiva A.N.A. si ricompone presso la casa di riposo Giobatta Isola, realizzata dagli Italiani e dagli alpini. L’incontro con gli ospiti che hanno tutti legami col nostro Paese, è commovente. Sono curati con dedizione da suore filippine e ascoltano con qualche lacrima sul volto il nostro coro improvvisato. Vorrebbero trattenerci a lungo, ascoltare ancora vecchie canzoni perse nel tempo, rivivere brandelli di memoria che li lega all’Italia. Ci trattengono a lungo la mano in un saluto d’addio che tocca profondamente. Sono tutto quello che resta di un sogno dimenticato.

    BRASILE Sorvolate le Ande in un pomeriggio limpido da far ammirare quell’immensa catena cinerea come fosse lì a portata di mano, con il lago Titicaca allungato su un crinale spezzato, si arriva a San Paolo del Brasile, una megalopoli con quaranta chilometri di diametro, quindici milioni d’abitanti, cinque di origine italiana. All’aeroporto ad attenderci c’è la signora Anna Rolla, figlia della penna bianca Alfredo, ultranovantenne e innamorata degli alpini.

    Alla Camera di Commercio Italiana, incontriamo Valerio Ceretta, capogruppo di Chiampo (Vicenza), prezioso collaboratore nei collegamenti col Brasile perché da tempo opera da quelle parti nel settore del taglio del
    marmo: ci presenta il funzionario Attilio Fanìa, alpino e punto di riferimento per la nostra Associazione. In prima mattinata si punta verso la periferia nord per rendere visita al ragazzo del ’99 Evaristo Dal Maso, nato a Chiampo ma veronese d’adozione.

    Vive con la figlia Graziella in una dignitosa casa piena di ricordi dell’Italia, Reali compresi e conserva ancora la lucidità dei ricordi di una vita che ha attraversato tre secoli. Felice d’incontrare il Presidente Nazionale, si è più volte commosso alla nostra visita, ma la sua felicità è stata piena solo quando è arrivato un nipotino di pochi anni che ha subito tentato di arrampicarsi sulle ginocchia del nostro artigliere da montagna, ormai troppo stanche per consentirgli di reggersi in piedi.

    Nel pomeriggio l’incontro con una ventina di penne nere avviene nel salone d’onore del Centro Italiano, in un lussuoso quartiere di San Paolo. All’insegna della genuina fraternità alpina ed allegria, l’assemblea si protrae fino al tardo pomeriggio, con l’affidamento dell’incarico a Fanìa di raccogliere tutti i nominativi della sezione, rimasta senza timoniere perché il suo presidente Armando Poppa è andato avanti qualche anno fa, e di organizzare entro un anno le elezioni per le cariche associative. Da parte della sede nazionale è stato assunto l’impegno di provvedere alla spedizione de L’Alpino e ad iscrivere nei ruoli A.N.A. i nominativi dei soci presenti all’incontro. Ubi italicus ibi Italia sta scritto sulla porta del salone del Centro italiano, se poi è un alpino tanto di meglio.

    Evaristo, ragazzo del ’99 e quel volo su Vienna

    La storia di EVARISTO DAL MASO, nato a Chiampo (Vicenza) e residente a San Paolo del Brasile, non è una storia, e l’artigliere da montagna della 160º batteria autonoma, impiegata dopo Caporetto, probabilmente sul Grappa, non ha quasi nulla da raccontare della sua esperienza militare. Oppure non vuole. Parla, sì, dei muli che salivano senza conducente nei punti più battuti dall’artiglieria a portare le casse di cottura in prima linea, ma non ha mai raccontato come il 5 dicembre fu fatto prigioniero. Solo il volo di D’Annunzio su Vienna ricorda. L’entusiasmo creato nel suo campo di concentramento, in periferia della capitale austriaca, dalla vista di quegli aerei italiani, fu indescrivibile. Irrobustiva la speranza e la fiducia sull’imminente fine della guerra.

    Secondo la sua versione il Poeta non ha lanciato sulla città solo manifestini, ma anche barrette di cioccolata e i prigionieri sembra ne abbiano festosamente beneficiato. La sua avventura di ragazzo del ’99 (è nato il 5 agosto), non ancora diciottenne, trovatosi coinvolto in uno degli avvenimenti più sconvolgenti della nostra storia, sarebbe di ordinaria normalità se a raccontarla non fosse lui stesso, il 27 marzo 2006. Acciaccato da una vita di emigrante lunga 106 anni e oltre, ma lucido di mente, guarda con commozione alla sua famiglia che lo circonda di affetto, saluta, con la semplicità di chi ha visto scorrere tre secoli, il Presidente nazionale Corrado Perona venuto dall’Italia a portargli gli auguri dell’ANA, e mormora con un sorriso autoironico: i alpini no i more mai . Sottoscriviamo.

    Ivo, dalla Sardegna a Cassino

    IVO CROVESI, ligure, da tanti anni ormai riveste la carica di presidente del Venezuela. È un signore distinto, colto, capace di fotografare la realtà venezuelana e italiana in poche parole, con cognizione di causa. Classe 1920, frequenta il corso AUC passando per Mondovì, Torino, Aosta ed esce sottotenente dalla SAUCA di Bassano del Grappa. Destinato a Merano, 5º alpini, battaglione Morbegno dovrebbe partire per la Russia ma una domanda, presentata tempo addietro, per un corso paracadutisti, lo vede partire per Tarquinia dove, alla fine del periodo di addestramento, viene destinato alla divisione Nembo di rincalzo alla mitica Folgore, subito spedita in Libia.

    Il suo reparto, in attesa d’impiego, è accantonato in Sardegna. Arriva l’8 settembre e una mattina la sua caserma è circondata dai Tedeschi che, con una sydecar e pochi camion di soldati, chiedono al comandante di arrendersi. Questi risponde che se loro sono accerchiati, i suoi soldati hanno cinquemila paracadutisti attorno, pronti ad aprire il fuoco. Si arriva ad un gentleman agreement e il reparto germanico viene scortato fino alle Bocche di Bonifacio e lasciato andare in Corsica.

    Dopo una visita del Principe Umberto, che ricorda con ammirazione il sacrificio della Folgore ad El Alamein e conferma la fiducia nei paracadutisti, la divisione Nembo, nel frattempo rinforzata dei resti delle battaglie in Libia, viene trasferita a Napoli. Gli Americani li vogliono al loro fianco, gli Inglesi li considerano prigionieri di guerra e così per due volte salgono e scendono dalle navi, senza sapere se destinati al fronte o ad un campo di concentramento.

    La spuntano gli Americani, ma sotto comando inglese arrivano a Cassino in tempo per assistere alla spettacolare distruzione della celebre abbazia e a concorrere agli attacchi delle truppe francesi e polacche, in una manovra di aggiramento operata dal generale Clark, che richiede un sacrificio di vite umane simile a quello delle battaglie della prima guerra mondiale. Ad Ortona, la sua divisione, ora rinominata Folgore, partecipa per la prima volta ad operazioni di guerra e, benché male armati e con soli due cannoni, escono spesso in avanguardia in micidiali campi minati e sostengono aspri combattimenti sull’Appennino a Filtrano, Castellone di Suada e Grinzano, nel Bolognese.

    Con un sorriso ricorda come, a seguito di uno squillo di tromba da parte tedesca e non riconosciuto come tregua d’armi, abbiano continuato a sparare, nonostante il cappellano urlasse come un forsennato di cessare il fuoco e un ufficiale medico germanico, incurante della sparatoria, venisse avanti medicando e curando senza scomporsi. Il suo racconto si conclude con una frase agghiacciante: A noi avevano solo insegnato a sparare .

    Alfredo: Albania, Grecia, Jugoslavia, Francia

    ALFREDO ROLLA, classe 1916, maggiore degli alpini, già presidente della sezione Brasile, AUC a Mondovì e a Bassano del Grappa, scopre la vocazione della penna nera leggendo Il piccolo alpino di Salvator Gotta. Nel 1940 41 si trova in Albania con il battaglione Pieve di Teco a subire il martellamento dei mortai greci, secondo lui, più precisi dei nostri perché dotati di migliori congegni di puntamento.

    Ne parla con ammirazione anche se una granata che lo ha mezzo sepolto gli ha perforato il timpano. Al momento di sferrare l’attacco decisivo contro la Grecia, dopo una preparazione logistica e psicologica lunga e meticolosa, entrano in campo i tedeschi e su quel fronte quasi improvvisamente le armi tacciono. Non è la pace però. Deve continuare una guerra ancora peggiore, in Jugoslavia, dove se i partigiani non attaccano, fanno opera di sabotaggio svitando le rotaie, facendo saltare i ponti, attaccando reparti di modesta entità, creando un clima di insicurezza con crudeltà gratuite.

    Dalla Dalmazia la sua divisione passa in Francia. I rapporti con la popolazione sono buoni e finalmente possono riposare. Arriva l’armistizio, tutto crolla e se ne torna a casa ad attendere la fine della guerra.