Con gli alpini mai freddo!

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    E l’estate, intanto, tarda ad arrivare. Gli acquazzoni e i temporali che bagnano città e campagne, salendo di quota, si trasformano in pioggia battente, grandine e neve. Proprio così. È arrivato luglio eppure, per gli amanti dell’alpinismo è come fosse primavera: pioli, cavi e chiodi delle vie ferrate riposano inutilizzati sotto abbondanti centimetri di neve. Impraticabili. Dal monte al piano, aria fredda. La stessa che tirava domenica 30 giugno al rifugio Contrin, in val di Fassa. L’ultima nevicata risale a due giorni fa. E il calore del sole non ha ancora vinto la sua battaglia.

     

    Lo sguardo stupito percorre i due sentieri che si arrampicano dal pianoro dietro il rifugio, l’uno verso la forcella della Marmolada, l’altro verso il passo Ombretta. Entrambi finiscono per perdersi sopra acclivi innevati. Lo spettatore sorride compiaciuto dinnanzi alla recita di questa natura bizzarra che detta le sue regole. E se lo spettatore è un alpino, si compiace ancora di più. In tanti, tantissimi domenica erano al raduno del Contrin. Sulla comoda mulattiera che sale verso il rifugio si snoda una lunga fila in cammino.

    A due, a tre o a gruppi gli alpini salgono e non sono soli. Tanti i bambini, numerose le famiglie. Sembra un’antica festa di montagna, di quelle legate al periodo della fienagione o al ferragosto. Un allegro vociare di fondo, poi qua e là un coro intona una canta e, un passo dopo l’altro, si giunge al rifugio. Sono le undici. L’alzabandiera e l’onore ai Caduti. Una corona d’alloro viene posta al monumento dedicato al Capitano Arturo Andreoletti. Seguono i discorsi delle autorità civili. Poi tocca agli alpini. Al presidente di Trento, Maurizio Pinamonti. Una voce piena di emozione che a tratti vacilla.

    Egli ripercorre la storia di questo raduno, vecchio di trent’anni e del suo rifugio che festeggia i novant’anni anni da quel lontano 15 luglio 1923, giorno dell’inaugurazione. Ricorda come un secolo fa questo luogo fosse teatro di battaglie, come i profili innevati di queste montagne segnassero un confine per cui si era pronti a combattere fino alla morte. Continua e torna al tempo presente per ringraziare la famiglia De Bertol che da sempre si dedica a questo rifugio. Poi saluta il presidente nazionale Sebastiano Favero, suo compagno di naja a Tai di Cadore. E l’orgoglio si mescola alla nostalgia dei ricordi.

    Gli succede l’intervento del generale Fausto Macor, vice comandante delle Truppe alpine. Anche lui emozionato, anche lui compagno di naja del presidente: trentanove anni fa, insieme, alla Smalp di Aosta. Una famiglia riunita dinnanzi ad una più grande, quella associativa che non conosce reparto, battaglione né grado, accomunata dal quel cappello capace di raccontare storie magnifiche. Ed è a questa famiglia che si rivolge il presidente Favero. Con vigore ricorda le virtù e lo spirito che accomuna gli alpini, che li unisce fino a trasformarli in una realtà capace di realizzare ogni cosa. Anche i sogni. Un silenzio spontaneo segna l’inizio della messa celebrata da monsignor Bruno Fasani, direttore de L’Alpino e dal cappellano don Gianmarco Masiero.

    “Gli alpini si ritrovano per alimentare quella speranza dono dello stare insieme. La stessa che pare sempre più fievole addirittura assente nella realtà raccontata dai tg e dalla carta stampata. È la speranza dei cuori semplici”, così monsignor Fasani nella sua omelia. Al termine della cerimonia, gli alpini schierati e in ordine fino a un attimo prima, rompono le righe per abbracciarsi. Come una volta, come nei racconti dei nostri nonni, ci si saluta, ci si stringe davanti all’obiettivo per una fotografia ricordo. Alle spalle la parete sud della Marmolada, le cui asperità appaiono ingentilite dalla neve. Anche questa è fatta… e quella nostalgia che prende ogni volta che si girano le spalle alla montagna per scendere verso valle, non si avverte più. Perché gli alpini sono capaci anche di questo.

    Gli occhi percorrono un’ultima volta le cime tutte intorno. Lo sguardo che in città si tiene basso imprigionato da quel groviglio di problemi e preoccupazioni che ci chinano il capo, quassù si alza e viene premiato: il gruppo del Sassolungo è là, di fronte a noi. Pare sospeso, dipinto sull’azzurro del cielo. La grande famiglia torna alle proprie case. Dimentica e felice, come in un sogno.

    Mariolina Cattaneo