Col cuore sull'Ortigara, dove nessuna croce manca

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    La cerimonia alla Colonna Mozza, con il Labaro, il presidente con il CDN, la Bandiera di guerra del 7 , il comandante delle Truppe alpine, vessilli, gagliardetti e tante Penne Nere.

    DI CESARE LAVIZZARI

    Lascio l’albergo alle 5 del mattino, dopo una notte allietata da un imbecille che con una motozappa fermo sotto la mia camera, ha passato tutto il tempo ad accelerare per essere sicuro di produrre il rumore più fastidioso. Possibile che questi motori non si rompano mai? Sono assonnato e arrabbiato. Possibile che non vogliano capire?Sono pochi, ma riescono sempre a rovinare tutto per mera stupidità.

    Arrivo ai pulmini che ci attendono per portarci a piazzale Lozze e, visto il numero di partecipanti, mi ritrovo nel baule sballottato tra zaini, racchette da neve e quant’altro. Quando mi incammino sulla strada che porta alla Colonna Mozza passando per Cima Lozze sono ancora infuriato. Continuo a pensare all’imbecille della motozappa con rabbia, ma, passo dopo passo, il silenzio e l’ambiente innevato mi restituiscono serenità.

    Dimentico l’imbecille e cammino osservando la montagna bianca. Non vedo i segni del conflitto che so, però, essere solo nascosti dalla coltre di neve. Osservo la colonna di alpini che salgono con me. Ho l’impressione che tutti abbiano lo stesso pensiero, la medesima emozione. Stiamo procedendo sul suolo sacro agli alpini e all’Italia e ne siamo tutti perfettamente consapevoli. E mentre mi perdo in questi pensieri un verso del Ta pum mi continua a girare per la testa. Cimitero di noi soldà, forse un giorno ti vengo a trovar .

    Stiamo andando a trovare i nostri morti e loro sono lì che aspettano: tutti! Ottantasei anni or sono i superstiti di quell’orrendo massacro hanno voluto risalire il Monte e porvi un monumento semplice con una scritta ancor più semplice: Per non dimenticare . E noi oggi stiamo tornando per testimoniare che ci siamo fatti carico di quello zaino e non abbiamo dimenticato il sacrificio dei nostri fratelli. E loro sono lassù che ci aspettano: proprio alla Colonna Mozza. È lì che ci siamo dati appuntamento. Quello è il punto di Adunata.

    Il mio passo diventa più spedito, sento l’urgenza di arrivare e finalmente ci sono. Ho appena il tempo di cambiarmi la maglia e di guardarmi attorno per rendermi conto che siamo in tantissimi. Ci sono oltre un migliaio di persone, più di 50 vessilli sezionali, gli alpini in armi, il comandante delle Truppe Alpine e tanti comandanti di reparto. C’è il Presidente Perona che è salito assieme a Beppe Parazzini, c’è il Consiglio Direttivo Nazionale quasi al completo.

    C’è il sindaco di Asiago Gios e l’Assessore regionale Elena Donazzan. Entrambi hanno sentito la necessità di salire a piedi e si capisce che il lungo lavoro svolto per organizzare l’Adunata Nazionale ha lasciato un bel po’ di spirito alpino nei loro cuori. Da ultimo, arrivano quelli che hanno dovuto optare per la salita in elicottero e tra loro, oltre al prefetto e questore, spunta anche il ministro Carlo Giovanardi che, benchè al termine del suo incarico, non ha voluto mancare. Infine scorgo di lontano un uomo anziano, con una giacca bianca, la barba ancor più bianca e gli occhi chiari già cerchiati di rosso.

    Mi avvicino e vedo che è Mario Rigoni Stern il sergente nella neve . È un reduce come altri, ma qui è di casa e forse più di tutti sente il peso di una tragedia della quale, da bambino, ha certamente visto i segni ancora freschi. È visibilmente emozionato quando tocca la Colonna Mozza Poi mi giro e tra i fratelli in armi scorgo un amico. È il primo caporalmaggiore Pozzo, della fanfara della Julia: il trombettiere del Pasubio.

    Evidentemente non ha voluto mancare nemmeno qui e il perché mi è del tutto evidente. Ero certo che l’avrei trovato quassù, puntuale, con la sua tromba. Comincia la cerimonia con lo schieramento del reparto, l’ingresso dei Gonfaloni e del Labaro Nazionale scortato dal Presidente Perona, dal gen. Resce e dal Consiglio Direttivo Nazionale. A fianco di Perona marcia anche Beppe Parazzini che in questa Adunata ha fortemente creduto. Terminato lo schieramento fa il suo ingresso anche la Bandiera di Guerra del 7º Reggimento Alpini ed il momento è particolarmente intenso.

    Tutti i presenti cantano con un nodo alla gola l’Inno di Mameli sino a quando la Bandiera prende posto a fianco del reparto. Tutti i movimenti sono sottolineati dal suono struggente e deciso del nostro trombettiere che ormai sappiamo che suona con l’anima. Comincia la Santa Messa celebrata da don Rino, cappellano della Sezione di Verona che per l’Ortigara deve aver avuto una sorta di appalto ecclesiastico: è sempre lui a celebrare da anni. Non c’e posto migliore dice per ricordare e parlare di pace. Questa colonna ci dà forza e convinzioni nuove.

    I martiri di ieri si sono sacrificati per il nostro popolo, i martiri di oggi si sacrificano perché ogni popolo possa godere dei beni fondamentali della vita . E ricorda il capitano Fiorito e il maresciallo Polsinelli: Manuel e Luca, vi dobbiamo riconoscenza! . E gli Alpini ascoltano in silenzio le parole di Don Rino che viene interrotto solo due volte dal canto: prima il Ta pum e poi Signore delle Cime, cantato dai presenti con un filo di voce.

    L’emozione non consente niente di più. Il canto è sommesso ma la partecipazione è talmente corale e intensa che sarà certamente arrivato al cielo. Si sente che tutti gli alpini cantano: quelli in armi, quelli in congedo e tutti gli alpini andati avanti. Mi pare persino di vederli. Il gen. Cantore avanti al blocco. È sorridente. Lui gli alpini li conosce bene. Sapeva che sarebbero venuti a questa speciale Adunata. Sapeva che non avrebbero dimenticato né permesso che altri dimenticassero.

    Ci siamo proprio tutti. Questa è l’Adunata degli Alpini di ogni tempo. E tutto ciò ci infonde un senso di serenità e speranza: non siamo cambiati! Magari vestiamo in modo differente, abbiamo scarpe più comode, utilizziamo materiali tecnologici, ma i valori e i sentimenti che portiamo nel cuore sono quelli di sempre. La cerimonia finisce e mentre mi accingo a rimettermi lo zaino in spalla per scendere a valle incontro Rigoni. Gli occhi sono più arrossati di quando è arrivato, ma il viso è luminoso e sorridente.

    Lo guardo e non riesco a trattenere un pensiero che scivola dalle mie labbra quasi senza che io me ne accorga. Gli dico: Sergentmagiù! Hai visto che gli alpini sono tornati tutti a baita . Mi guarda. Sorride. Non dice nulla, ma una lacrima gli solca il viso. Mi basta. Va bene così.