Carica dei trentamila

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    Se non è un record, poco ci manca; e a pochi giorni dalla sfilata che ha concluso il raduno del terzo raggruppamento, Schio si culla nell’idea di essere stata per tre giorni capitale degli alpini del Triveneto. Con la città vestita a tricolore già parecchi giorni prima, è il tradizionale alzabandiera di venerdì nella centralissima piazza Alessandro Rossi a dare il via all’evento.

    Il presidente della sezione di Vicenza Luciano Cherobin e il sindaco scledense Luigi Dalla Via ha tagliato idealmente il nastro di partenza della tre giorni alpina: un evento legato al territorio e alla memoria nel 90esimo anniversario della costituzione del gruppo alpini di Schio. Una storia che parte da lontano, da quel giorno di settembre a Pian delle Fugazze, con duecento alpini sopravvissuti alla Grande Guerra riuniti intorno a don Giuseppe Pietrobon; una storia ricca, solidale e tragica che Cherobin, in un iperbolico salto nel presente concretizza così: “Essere alpini oggi significa avere la responsabilità di condividere i propri valori con gli altri. Soprattutto vuol dire declinare i nostri principi in atti concreti di solidarietà e aiuto a chi è in difficoltà”.

    Va più in là il giorno dopo, a margine della breve cerimonia all’Ossario del Pasubio, il presisdente nazionale Sebastiano Favero parlando del ruolo dell’ANA oggi: “Continuità rispetto al passato e, per quanto possibile, un ruolo finalizzato a far cogliere ai nostri governanti i valori che noi portiamo avanti da sempre: patria, onestà, famiglia, senso del dovere, solidarietà. Riteniamo che questi principi siano condivisibili da tutti e, soprattutto, debbano valere per tutti”. Ed è un continuo rimpallo tra passato e presente l’adunata Triveneto; anche con gesti simbolici, per esempio. Come la marcia di 50 giovani dall’Ossario alla caserma Pietro Cella, che durante la Grande Guerra ospitò il Battaglione Val Schio, poi ribattezzato Val Leogra, e che è intitolata alla prima Medaglia d’Oro alpina. Lì, dopo tre ore di marcia, alpini in servizio e della Commissione Giovani, hanno acceso una fiaccola davanti la lapide in ricordo proprio del capitano Cella.

    Così come affonda le radici nelle battaglie delle prealpi vicentine l’iniziativa del comune di Valli del Pasubio di conferire la cittadinanza onoraria al Battaglione Aosta, uno dei reparti più decorati dell’esercito italiano, che nel 1917 combatté in quei luoghi. E, ancora, la mostra dedicata alla militaria della Grande Guerra a Palazzo Fogazzaro, realizzata dall’ex presidente sezionale Giuseppe Galvanin; e quella della Protezione Civile ANA, sempre a Palazzo Fogazzaro. Schio ha risposto bene alla pacifica invasione di penne nere affluite in città già nel pomeriggio di venerdì. Complice il clima di festa fraterna instaurata dalle penne nere che ha saputo coinvolgere gli scledensi trasformando l’appuntamento alpino in un appuntamento di comunità tra i suoni delle fanfare, le voci dei cori. E, a pareri di molti, sono stati i sorrisi e le risate salite dalle vie di Schio la chiave di lettura del successo di questo evento.

    Domenica sono stati poco meno di trentamila alpini a sfilare, molti di più delle rosee previsioni della vigilia. Hanno sfilato sotto il sole, incuranti del caldo, tra due ali di folla che hanno scortato da dietro le transenne il lungo serpentone di alpini fin dalle nove del mattino. L’unità di misura del successo dell’adunata organizzata dalla sezione di Vicenza non è stabilita dai commenti “alpini” del dopo sfilata, ma da chi alpino non è e che, partito col proposito di assistervi cinque minuti, è rimasto a guardare (e a informarsi sulla vita associativa dell’ANA) per due e più ore. È il caso di Giovanni Luigi Fontana, per esempio; scledense, direttore del dipartimento di Scienze storiche dell’Università di Padova, che ammette di non aver mai visto nulla del genere e, soprattutto “In questo momento l’Italia ha un disperato bisogno di stringersi attorno a esempi nobili come sono gli alpini”.

    C’è stato un grande richiamo alla concretezza del lavoro e all’umiltà solidaristica delle penne nere in una città operaia, all’ombra del Pasubio, polo manifatturiero europeo fin dalla prima rivoluzione industriale. Tanto che in una sorta di esegesi la tribuna autorità era in piazza Rossi, davanti all’ “Omo”, il monumento al tessitore che tiene in mano una navetta e ai suoi piedi ci sono dei panni, frutto del suo lavoro.

    Il legame ideale con lo spirito alpino è fin troppo evidente. È stata l’adunata di Nadir Mercante, Oriano Dal Molin e delle tante anonime insostituibili penne nere della Val Leogra che si sono consumate a pianificare il dettaglio in una corsa irta di difficoltà e segnata da qualche delusione; è stata l’adunata di Livio e Graziano, due esodati che hanno risparmiato per venire a sfilare e che parlano del loro disagio senza guardarti negli occhi, quasi a vergognarsi; mentre chi dovrebbe vergognarsi è altrove; è stata l’adunata di Rinello Pressi, capogruppo di Medeuzza, che con i suoi alpini è partito dal Friuli alle 5 del mattino e di tanti altri come lui giunti da Trento, Bolzano, Gorizia, Trieste.

    È stata l’adunata di Sebastiano Favero, presente a Schio fin dalla serata di venerdì, che ha raccolto l’affetto e la fiducia di tutti. È stata l’adunata di Cristiano Dal Pozzo che fermandosi sotto la tribuna a ricevere il saluto e l’abbraccio di Favero e del generale Antonio Maggi, comandante del Centro Addestramento Alpino, provocando a chi era lì a un metro un magone che non scende nemmeno a saltarci addosso a pie pari. È stato un raduno di alpini, e tanto basta.

    Federico Murzio